Tony Adams è prima di tutto uno che ce l’ha fatta. E se uno ce la fa, poco importa se di mestiere fa il giornalaio, il carpentiere, l’usuraio o il calciatore. Tony Adams è una persona che ha sofferto per anni di problemi di alcolismo e ora non beve più, ora è riuscito a dare un senso alla propria vita senza inframmezzarla da pinte di birre. Questa è l’unica cosa che conta in questa storia, il resto sono solo cronache di un pallone che rotola su un campo e di tifosi e addetti ai lavori che provano a dare un senso a questo movimento con giudizi, punti di vista, facili battute e redenzioni.
La fredda cronaca ci dice che Tony Adams è nativo dell’Havering, borgo londinese che si trova nella parte orientale della città. E’ un bambino timido, Tony, che presto diventa un adolescente che si sente terribilmente solo e che vive una profonda inquietudine che non riesce a comunicare. Non brilla a scuola, teme terribilmente le insegnanti e le ragazze che per lui rappresentavano un universo totalmente indigesto e sconosciuto. Il calcio rappresenta la sua salvezza: il giovane londinese è infatti un bellimbusto capace di mettere paura a qualsiasi attaccante che si aggira dalle sue parti. Su un campo di calcio Tony lascia da parte tutte le insicurezze e mostra fin da subito un’innata autorevolezza sia nel comandare la difesa che nell’essere un esempio per i compagni.Inizia con il Daghenham United, squadra fondata dal padre, con cui vince la Essex Cup con un bottino impressionante di 151 gol fatti e 0 subiti. Tony è il centrale difensivo e il capitano e ben presto viene notato dalle compagini più importanti di Inghilterra.
A 14 anni dice di sì all’Arsenal e la maglia dei Gunners diventa praticamente una seconda pelle. Adams compie tutta la trafila nelle giovanili ed esordisce in prima squadra nel 1983, ad appena 17 anni. La carriera del gigante londinese ci mette poco a sbocciare e nel 1988, a soli ventidue anni, Adams diventa il capitano più giovane della storia del club. Il gigante londinese è uno dei protagonisti del clamoroso titolo del 1989 vinto per differenza reti, grazie ad una vittoria per 0-2 ad Anfield Road in casa dei rivali del Liverpool con un gol di Micheal Thomas nei minuti di recupero. Su questa impresa Nick Hornbysciverà un libro, intitolato Febbre a 90, che verrà poi riadattato da David Evans nell’omonimo film con Colin Firth. La carriera di Adams prosegue a gonfie vele con il titolo del 1989 che viene bissato nel 1991. Con la sua grinta e la sua leadership diventa presto uno dei beniamini di Highbury e si attira l’odio delle tifoserie rivali che gli rifilano il soprannome “The donkey”, l’asino.
Il campo da calcio però è solo una maschera per le inquietudini di Tony. Lui è sempre quel bambino che si sente solo, che arrossisce davanti alle insegnanti e alle ragazze. Poco importa se ora può avere tutte le donne che vuole ed è uno dei difensori più forti del mondo. Vive un conflitto quotidiano con sé stesso e l’alcol sembra essere l’anestetico più efficace. Il piacere sfocia in pochissimo tempo nella dipendenza: troppe pinte di birra, troppe notti al bar, troppe mattine in cui si sveglia con la stanza in disordine senza sapere che cosa è successo la sera prima. Il culmine arriva in un pomeriggio di agosto del 1990, al termine di un estate di vacanza dopo la mancata convocazione ai Mondiali in Italia. Tony deve andare all’aeroporto per raggiungere i suoi compagni diretti a Singapore, dove si disputa un’inutile serie di amichevoli estive. Ma Tony è ubriaco, troppo ubriaco. Esce dal pub, si mette al volante e guida per le strade di un quartiere residenziale londinese come se fosse su un circuito di Formula 1. Ottanta, cento, centoventi all’ora.
Un viaggio tanto veloce quanto breve. La sua Fiesta Yard si schianta contro un palo del telefono dopo un chilometro scarso e viene sballottata contro il muretto di una villetta. Il difensore dei Gunners resta fermo all’interno dell’auto, senza capire nulla e ci mette un po’ prima di scendere e accorgersi che la sua macchina è diventata un ammasso di ferraglia senza una forma definita. Pochi minuti e arriva la polizia, gli fanno il test per indicare il tasso di alcol nel sangue. Il risultato lascia attoniti anche i poliziotti.. 134.. il limite è 35.. Il capitano dell’Arsenal prova a spiegare agli agenti: aveva sterzato convinto che una macchina gli stesse venendo addosso. Una percezione alterata dall’alcol, una tremenda realtà. Adams viene portato in centrale dagli agenti, gli rifanno il test, il risultato è 137. Gli viene immediatamente tolta la patente e viene imputato per guida in stato di ebbrezza.
Il capitano dell’Arsenal parte per Singapore travolto da vergogna e sensi di colpa. Tutto il mondo sa che Tony Adams è un alcolista, perfino in Asia dove la notizia arriva molto prima dell’aereo su cui è a bordo. Il 19 dicembre la Southend Crown Court è chiamata a pronunciarsi. Giunge l’inevitabile condanna: nove mesi in cui non sarà più il capitano di una delle squadre più forti del mondo ma il detenuto LE1561. Il sistema carcerario inglese non concede alcun tipo di privilegio ai vip. “The donkey” è chiuso in un carcere per 23 ore al giorno. Le giornate le trascorre a disegnare in un buco di quattro metri per tre con due brande e un secchio da riempire con i propri escrementi. Giornate che passano giocando a carte con gli altri detenuti, nella speranza di non incontrare qualche delinquente tifoso degli arcirivali del Tottenham. Giornate riempite da lettere di star del mondo del calcio, di tifosi dell’Arsenal ma anche lettere anche di odio e minacce da parte dei tifosi delle squadre avversarie. Tony sembra impassibile, non dà confidenza a nessuno e si tiene il più possibile lontano dai guai. Inizia a lavorare nella palestra del carcere, per poco più di tre sterline. A febbraio arriva la fine dell’incubo, la sua buona condotta viene premiata e finalmente può uscire dal carcere. Dopo pochi giorni torna in campo e in settemila lo accolgono ad Highbury in una partita di riserve dell’Arsenal. Pochi mesi dopo vince il suo secondo scudetto ma non basta per abbandonare le vecchie cattive abitudini.
La vita di Adams è sempre quella di un dottor Jekil e Mister Hyde, di un uomo che vive tenendo insieme le due passioni della sua vita, l’alcol e l’Arsenal. Nelle birre Adams sfoga le frustrazioni di un uomo cresciuto troppo presto, che fin da giovane ha dovuto reggere le pressioni di quel circo mediatico basato su quella palla che rotola. “Bevevo per festeggiare i successi, bevevo per dimenticare le sconfitte dunque bevevo sempre”. L’alcol diventa una droga esistenziale indispensabile per reggere un ruolo: “Il mio valore come persona era in ciò che facevo, non in ciò che ero”. Nelle pinte di birra trova riparo per fronteggiare la fatica per la convivenza con la moglie che si stava disintossicando dalla droga. “Mi sentivo superiore e invece ero più tossico di lei”. Così dice a posteriori lo stesso Adams nella propria autobiografia Fuori gioco la mia vita con l’alcol.
Una vita con un solo pensiero, bere e poi bere ancora perché “per noi alcolisti un bicchiere è troppo e cento sono nulla”. Una doppia vita poiché Tony Adams è il capitano della squadra vincitrice dell’accoppiata Fa Cup e League Cup nel 1993 e della Coppa delle Coppe del 1994, oltre che essere capitano della nazionale inglese. Allo stesso tempo Tony Adams è un alcolista che spende migliaia di sterline al pub. E’ uno che se la fa addosso di notte senza riuscire ad alzarsi dal letto. E’ uno che si trova solo con donne conosciute occasionalmente, avvolto da bottiglie di birra di bassa leva a pensare di volerne bere ancora una e poi un’altra e poi un’altra ancora. Tony Adams, l’alcol, l’Arsenal. L’immagine che più lo rappresenta sono i sacchetti della spesa con cui si imbottisce la pancia durante gli allenamenti per eliminare le calorie in eccesso dovute all’eccessivo consumo di birra. Il bivio giusto nella vita di Adams è il 1996, anno degli europei giocati in Inghilterra con la Nazionale guidata da Paul Gascoigne (altro giocatore che ha avuto notevoli problemi con l’alcol) che viene eliminata in semifinale ai rigori dalla Germania con il decisivo errore di Gary Southgate. Durante l’estate Adams supera ogni limite per consolarsi dalla cocente delusione. A un certo punto però scatta qualcosa e non è il desiderio di rivalsa o un briciolo di dignità che gli rimane dopo l’ennesima umiliazione subita da ubriaco. Tony semplicemente capisce di poter essere abbastanza forte da poter affrontare le gioie e superare le delusioni senza l’aiuto dell’alcol. Nella sua autobiografia racconta così questo momento: “a Dio piacendo, le ore 17 venerdì 16 agosto, il mio ultimo goccio di alcol”. Adams ne esce a testa alta, come quando deve chiamare un fuorigioco o liberare la propria area di rigore: si presenta agli alcolisti anonimi dicendo: “mi chiamo Tony e sono un bevitore” e rende pubblica la vicenda.
Ai suoi compagni, prima di tutto, e poi a tutta Inghilterra. Il mondo non è pronto per affrontare certe debolezze e certe confessioni, soprattutto se di mezzo c’è il calcio, il tifo e il disprezzo. In ogni partita c’è qualcuno che ironizza sul suo recente passato, tra tifosi delle squadre avversarie che gli lanciano alcolici o allenatori che per farlo innervosire mimano il gesto di bere una pinta di birra.
A questo punto però è davvero solo una palla che rotola che conta pochissimo quando si parla di traguardi più profondi. Non contano nulla nemmeno le oltre 600 partite giocate con la maglia dell’Arsenal fino al 2002, hanno poca importanza gli svariati successi come le due accoppiate campionato-F.A. Cup che lo vedono protagonista al fianco di campioni come Seaman, Vieira, Bergkamp, Overmars ed Henry. Quello che conta è che ora è “il signor Tony Adams che fa l’allenatore, ha giocato a calcio, suona il piano e ha due figli”. Un uomo che ha fatto degli errori e prova nel suo piccolo ad aiutare altre persone che si trovano nella sua stessa situazione. Un uomo in grado di vivere la propria vita senza l’alcol come narcotico. Senza scheletri nell’armadio e senza verità scomode da nascondere. Di fronte ad una storia come questa la palla può tranquillamente continuare a rotolare e a percepirsi il centro del mondo senza che le venga data troppa importanza.
Valerio Zoppellaro