Istrionico, teatrale, pazzo, ma soprattutto sorridente. E fortissimo. Questo era Jean Marie Pfaff, icona della nazionale belga degli anni ‘80-‘90, votato miglior portiere del mondo nel 1987, un anno dopo i Mondiali messicani, che lo consacrarono tra i migliori di tutti i tempi nel suo ruolo e gli valsero anche il soprannome di “El Simpatico“, per quel suo modo di interpretare le partite con il sorriso.
Un numero uno, in tutti i sensi, diverso dai calciattori moderni costruiti ad arte e pompati da televisioni e sponsor invadenti e senza anima.
Un personaggio uscito dalla penna di Rabelais, un clown al servizio non del Re, ma dei sudditi – gli spettatori – ai quali regalava interventi prodigiosi tra i pali e scenette grottesche. Dall’inseparabile orsetto di peluche che sistemava in fondo alla porta a quando si riparava sotto l’ombrello dei fotografi durante i match di campionato.
Dalle fughe dai ritiri a bordo di un’ambulanza travestito da infermiere a quando prendeva parte alla Parigi-Dakar a bordo di un camion. Estroverso, imprevedibile, leggero, mai banale. A Messico ‘86 sfoggiò una divisa rosso fuoco come “tributo” a Kelly Le Brook, bellissima star del film “The Woman in Red“. Disse anche che Maradona non era niente di eccezionale… e venne ripagato dal Pibe de Oro con una doppietta che eliminò il suo Belgio in semifinale. Diego gli regalò la maglia a fine gara, Pfaff i suoi leggendari guantoni extralarge. Questione di stile.
Un giorno giocò un’amichevole contro l’Olanda a Rotterdam. I tifosi oranje lo fecero bersaglio di insulti e massiccio lancio di frutta e verdura. Lui raccolse da terra una mela, la pulì, si appoggiò al palo e iniziò a mangiarla, torsolo compreso. Finita, ne chiese un’altra, tra gli applausi scroscianti del pubblico. Questo era Jean Marie Pfaff, capace di trasformare il campo da calcio in un circo e la partita in uno spettacolo. Sempre con il sorriso.