Non ho avuto il piacere e l’onore di vederlo giocare dal vero come tanti altri grandi campioni bianconeri, ma per me e molti altri tifosi juventini rimarrà per sempre un’icona straordinaria. Sì, parlo del Gigante Buono come veniva chiamato da tutti, figura che emerge dagli almanacchi calcistici non solo per le sue memorabili imprese sul campo ma anche per il suo comportamento al di sopra di ogni sospetto: vero, sano, cristallino come l’acqua sorgiva di montagna. William John Charles. Un raro esempio per tutti quello di questo gallese proveniente da una famiglia assai povera, costretto fino a sedici anni a fare il minatore come il padre e, per potersi avvicinare al calcio, disposto a raccogliere rifiuti e rammendare scarpini per la città della squadra locale, lo Swansea.
Durante il servizio militare si dedica al pugilato con brillanti risultati, dieci incontri per altrettante vittorie arricchite da cinque ko. Ma proprio l’esperienza pugilistica serve a far comprendere al giovane gallese che il ring e i guantoni non fanno per lui. Viene scovato da Franck Buckley, ex centromediano la cui carriera è stata bruscamente interrotta dal conflitto mondiale, allora allenatore del Leeds United. Nel 1949 firma il suo primo contratto da professionista. Charles possiede eccezionali doti fisiche, ambidestro ma soprattutto un colpo di testa che assomiglia a quello di un colpo di cannone. Viene impiegato alternativamente sia da centromediano che da attaccante. I risultati sono lusinghieri tanto che riesce a trascinare la sua squadra, dopo alcuni tentativi, alla massima serie. Diventa l’idolo di Elland Road e il salvatore stesso del club. Un osservatore bianconero d’Oltreoceano, Gigi Peronace gli mette gli occhi addosso e se lo porta a Torino per la cifra monstre di 65mila sterline (circa 110 milioni delle vecchie lire). Questi soldi serviranno a ricostruire lo stadio della squadra andato a fuoco l’anno prima.
John si ritrova ad essere uno dei pilastri su cui si affida la famiglia Agnelli per vincere lo scudetto che manca da troppi anni. Ma non è solo. Arrivano anche l’argentino Omar Sivori e il padovano Bruno Nicolè. L’impatto con il nostro campionato è dirompente, realizza 28 reti, 20 quelle di Omar e 8 per capitan Boniperti. Ma il Trio Magico, così viene denominato, porta nella bacheca bianconera, nel quinquennio 1957-1962, tre scudetti e due coppe nazionali. Ma bisogna sapere che John non si cimenta solamente nei campi di gioco. Ha una voce suadente e canta in più occasioni finchè una sera si esibisce alla Capannina di Viareggio con brani dei Platters e Fred Buscaglione. Finisce in rissa, placata dallo stesso gallese, innescata indovinate da chi?
Ma da Omar Sivori! Pronto a difendere l’amico della vita. È la stagione dell’Avvocato, innamorato sempre più di Omar, il suo giocattolo, di Boniperti la bussola in campo e fuori, di John l’ariete, la torre e il martello. In tutta la carriera non ha mai subito l’onta di una ammonizione e di una espulsione. Nel caso procurasse danni fisici, sempre in maniera involontaria, chiedeva scusa e in taluni casi rinunciava al goal pur di soccorrere l’avversario. Celebre l’episodio quando con la fronte colpisce violentemente il palo.
L’impatto è talmente forte che viene avvertito in tutto lo stadio. Cala un silenzio assordante. Passano pochi minuti e il Gigante Buono è di nuovo in campo pronto a ricominciare. Come quando in un Derby d’Italia l’avversario per cercare di innervosirlo gliene dice di tutti i colori sulla Regina d’Inghilterra. Ma ad ogni frase il bianconero annuisce ridendo. A fine gara la spiegazione: “non sono inglese ma gallese!”.
La prima moglie Peggy gli dà quattro figli ma lo condiziona pesantemente alla vigilia del rinnovo del contratto. Dopo averlo firmato il giorno dopo lo straccia per volere della moglie e torna in Inghilterra. Ma dura poco questo buen ritiro. Firma per la Roma il cui ambiente lo condiziona non poco giocando 10 incontri da centromediano metodista e realizzando 4 reti. Ora il ritorno in patria è definitivo. Gioca ancora nel Cardiff e conclude la sua carriera a 40 anni in una squadra di quarta divisione l’Hereford. Beveva e fumava forse troppo tentando anche l’esperienza della ristorazione sia a Torino che a Leeds, rispettivamente con un ristorante e con un pub. Entrambe le esperienze fallirono. John non era un uomo ricco e le sue difficoltà economiche vennero prese in considerazione dalla Juventus di Scirea che organizzò un’amichevole ad hoc il cui incasso gli venne devoluto.
Che classe John Charles il cui orgoglio e la cui dignità gli impedirono di chiedere aiuto alla sua seconda famiglia:la Juve! Tentata l’avventura da allenatore nel gennaio del 2004 viene colpito da un attacco cardiaco proprio alle vigilia di una sua partecipazione alla Domenica Sportiva. Successivamente gli viene amputata una parte di un piede per problemi circolatori. Muore nel febbraio dello stesso anno all’età di 72 anni. Ora grande guerriero riposa…
Dario Barattin