L’anno scorso il Corriere dello Sport ha dedicato due pagine intere a Ramon Angel Diaz, attaccante argentino, che ad Avellino conoscono benissimo. Tre stagioni superbe in Irpinia, che rilanciarono il “puntero triste”, fatto fuori dal Napoli, non per incapacità, ma per problemi ambientali. Napoli che fu la prima piazza italiana dell’attaccante dopo la sua esperienza argentina, già vincente con il River Plate.
L’avvento in Irpinia di Ramon Diaz fu un qualcosa di straordinario, fu considerato l’anti Maradona, colui che anticipò, a pochi chilometri di distanza, le gesta del Pibe, coi colori biancoverdi. Ad Avellino contribuì a tre annate fantastiche. Giocò dal 1983 al 1986, diventando nel 1985 il capitano dei lupi, segnando 12 gol. Il primo giocatore della storia dell’Avellino in Serie A ad andare in doppia cifra (12 gol) nella classifica marcatori. In totale nel massimo campionato italiano, saranno 54 le reti messe a referto e sarà l’Avellino, con 22 gol in 3 anni, la squadra con cui ha segnato di più.
Dopo l’Avellino passò alla Fiorentina, dove vide crescere un giovane Roberto Baggio. Fino al 1988 restò a Firenze, poi lo notò un certo Giovanni Trapattoni che lo volle a tutti i costi nella sua Inter del 1988-’89. Fu l’Inter dell’ultimo scudetto (pre-anni 2000), l‘Inter dei record di Mattheus, Brehme, Berti, Bianchi e Diaz. Ramon Diaz, con Aldo Serena (capocannoniere con 22 gol di quel campionato 1988-’89), fu protagonista di una annata superba. Solo un anno all’Inter, ma 35 presenze su 36 gare. Trapattoni non lo toglieva mai.
Da segnalare un Mondiale Under 20 con l’Argentina, vinto assieme a Maradona e il Campionato argentino con il River Plate, trofeo che rivinse da allenatore con gli argentini. Insomma, di cosa stiamo parlando, di un pezzo di storia passato anche per Avellino, anzi, che grazie ad Avellino è riuscito ad esplodere nel calcio mondiale.
Questo il trafiletto del Corriere dello Sport dedicato a Ramon Diaz: “L’importante non è essere tesserato con un grosso club – disse all’indomani del trasferimento dal Napoli, dove si giocava lo scudetto, all’Avellino – ma di giocare e di dimostrare di avere la classe per rendere come i tifosi aspettano. La mia promessa è di segnare quanti più gol possibili, non per la salvezza, ma per dare all’Avellino una classifica tranquilla. Ho trovato tanti tifosi entusiasti, mi è sembrato di rinascere. Dopo la calda accoglienza che ho avuto, mi sono reso conto che quello avellinese è un ambiente passionale del tipo sudamericano. Mi hanno fatto dimenticare d’incanto un anno sofferto tinto da cocenti umiliazioni. Con l’Avellino voglio dimostrare che Diaz non è affatto un calciatore finito». E così sarà. Tre anni per tre salvezze consecutive alle quali lui contribuisce con il suo gioco e, soprattutto, con i suoi gol, spesso pesanti, anzi pesantissimi. Ce n’è per tutti: dal Napoli alla Juve, alle dirette concorrenti. Nel 1985 poi diventa capitano e con la fascia al braccio timbra per dieci volte, primo giocatore dell’Avellino ad andare in doppia cifra in Serie A”.
Marco Costanza