Ha legato il suo nome in maniera indissolubile alla Juventus Umberto Caligaris, “Caliga” o “Berto”, come lo chiamavano i compagni di squadra. Prese parte appieno all’epopea juventina degli anni trenta vincendo consecutivamente cinque scudetti con la maglia bianconera dal 1931 al 1935. Umberto Caligaris fece anche parte della spedizione di Vittorio Pozzo ai Campionato del mondo del 1934. In Nazionale totalizzò in tutto 59 presenze. Suo unico rimpianto quello di non essere riuscito a scendere in campo per la sessantesima volta in maglia azzurra.
Da sinistra: Pozzo, Ct azzurro, dà indicazioni a Monzeglio e Bertolini prima dei supplementari di Italia-Cecoslovacchia, finale della Coppa Rimet 1934; il capitano Combi sembra preso da altro, mentre Monti discute con il vice di Pozzo, Carcano.
Nacque a Casale Monferrato il 26 luglio 1901. Figlio di un padre cultore dello sport ed esperto nel gioco del pallone elastico, fin da piccolo visse con passione il movimento calcistico della sua città, che negli anni della sua infanzia era al massimo del proprio splendore: il Casale infatti combatteva sui campi della Prima Categoria italiana, e nel 1913-’14 vinse uno scudetto che suscitò meraviglia e incontenibile gioia nella comunità piemontese, che viveva un periodo florido anche dal punto di vista dello sviluppo industriale ed economico. Proprio nel 1913, ancora giovanissimo studente, “Caliga” mosse i primi passi nello sport che sarebbe poi divenuto fondamento della sua vita. Dalle partite all’oratorio Sacro Cuore nel rione Valentino, dove inizialmente fu schierato portiere, poi centravanti e infine giunse al suo predestinato ruolo di terzino, fece parte dei fondatori dello Sparta, società di “liberi” dalla maglia bianca con striscia verde. Le attività di questa squadra furono interrotte dal primo conflitto mondiale; già nel 1917, però, si ricompose lo Sparta – con Caligaris ancora tra i fondatori insieme a diversi suoi futuri compagni nel Casale – che adottò la maglia bianca con stella nera, versione “in negativo” della divisa nerostellata che aveva infiammato i cuori dei casalesi. Fino al 1919, lo Sparta proseguì la sua attività a livello locale: poi si ricostituì il Foot Ball Club Casale, e con esso tornò la maglia nera che tanto mancava agli appassionati.
Caligaris fece il suo debutto assoluto in prima squadra il 12 ottobre 1919 contro la Valenzana. Portava i capelli lisci abbastanza lunghi tenendoli a posto con un candido fazzoletto: nelle mischie quella fascia bianca, che gli cingeva la testa, lo rendeva subito riconoscibile quando si scrollava con foga dai viluppi di uomini. Era un’autentica forza della natura, una massa di muscoli messi al servizio di una tecnica squisita.
Nella stagione 1923-’24 Caligaris, del quale i dirigenti juventini avevano già sentito parlare, comparve per la prima volta come avversario della Juventus e di quei due personaggi, Combi e Rosetta, di cui sarebbe poi divenuto inseparabile amico. Entrambe le partite di quel campionato si conclusero con il successo della Juventus sul Casale, con il punteggio di 3-2 e c’è da segnalare un curioso particolare: un goal realizzato da “Viri” Rosetta che in quella formazione (10 febbraio 1924, campo di corso Marsiglia) figurava come attaccante; con una finta diabolica, “Viri” riuscì a sbilanciare “Caliga” che gli si era fatto incontro come una furia e a battere, con un abile tocco, il portiere casalese De Giovanni.
Il 15 gennaio 1922 ebbe l’onore di debuttare in Nazionale, a Milano contro l’Austria. Il terzino casalese affiancò niente meno che Renzo De Vecchi, il popolarissimo “Figlio di Dio” che era una vera e propria icona vivente del calcio italiano. Un’emozione che rimarrà nel cuore di Caligaris per tutta la vita.
A soli 21 anni Umberto Caligaris era già uno dei giocatori di maggior fama del Paese. “Rifiuta gli schemi, non perché sia un anarchico ma semplicemente perché non li concepisce, il calcio per lui è un gioco tanto entusiasmante quanto semplice che si gioca con la palla. Compito fondamentale è quello di sradicare più palloni possibili dai piedi degli avversari, insomma lottare, correre e poi ancora lottare”. È l’analisi più sincera che descrive in maniera perfetta quello che fu Caligaris.
Passò alla Juventus nel 1928 convinto da Edoardo Agnelli. Con Virginio Rosetta formò la più forte coppia di terzini degli anni ’30. Una difesa insuperabile che schierava tra i pali un altro eroe bianconero Giampiero Combi. I tre giocatori, amici per la pelle, furono il perno della Juventus del Quinquennio d’Oro quella che si aggiudicò consecutivamente cinque titoli nazionali dal 1931 al 1935 e linea difensiva insuperabile pure della nazionale azzurra.
La sua ultima partita in maglia bianconera la giocò nel maggio del 1935. Poi appese le scarpe al chiodo dedicandosi al mestiere di allenatore. E proprio a Brescia lo colpì una malattia debilitante: si salvò solo grazie alla sua forte fibra. Il medico gli sconsiglio qualsiasi sforzo fisico e le forti emozioni. Ma lui non volle mancare quel 19 ottobre del 1940 alla partita amichevole che vedeva protagonisti le vecchie glorie juventine tra le quali gli inseparabili amici Combi e Rosetta. Furono proprio loro a sconsigliargli di ritornare in campo viste le sue condizioni di salute. Ma Umberto Caligaris non sentì ragione, non volle perdere l’occasione di giocare per l’ultima volta al fianco degli amici di sempre e rivivere le intense emozioni della Juventus dei cinque scudetti consecutivi.
Si accasciò al suolo dieci minuti dopo l’inizio della partita, mentre rincorreva un pallone. Erano le 17,15 di sabato 19 ottobre, “Caliga” morirà in ospedale 45 minuti dopo, alle 18 meno due minuti, a causa di un aneurisma.
“Un Gladiatore – scrisse su “La Stampa” mister Vittorio Pozzo in un commosso ricordo – Addio caro collega, compagno di tante lotte in difesa del nome d’Italia, atleta dal cuore grande e dai mezzi eccezionali. Nessuno di coloro che hanno diviso con te le fatiche dello sport o che alle tue prodezze hanno assistito ti dimenticherà, ne puoi star certo”. A 39 anni, quel pomeriggio del 19 ottobre 1940, Umberto Caligaris chiudeva la sua intensa giornata e la sua breve vita fatta di tante emozioni calcistiche. Fu posto nella bara con indosso la maglia della Juventus, la squadra che aveva contribuito a fare grande. Accanto c’era quella della Nazionale azzurra.
Fonte: “Umberto Caligaris: anima e corpo” di Andrea Ridolfi Testori”