Storie di favole, storie di giovani calciatori coccolati e tirati su come figli… storie nate in mezzo alla scarsa disponibilità economica ma cresciute insieme a grandi sognatori. Il Licata è stato uno degli esempi più lampanti e confortevoli che vengono alla mente di chi guarda il calcio (e non solo) dal lato prettamente romantico e, senza voler minimizzare anzi apprezzare, certe volte infantile. Nel libro delle imprese sportive la copertina non potrebbe che essere dedicata al Castel di Sangro, eppure la compagine siciliana ha tutto il diritto di riservarsi un capitolo per lei stessa. Pagine di base destinate a rimanere bianche ma poi scritte con l’inchiostro della passione più pura e della voglia di stupire… senza limiti.
Campionato di Serie B 1989-’90: l’allenatore Aldo Cerantola, alla seconda esperienza sulla panchina del Licata
Tra gli anni Ottanta e primi Novanta, Licata era poco più di quarantamila abitanti, città baciata dal sole e dai profumi intensi che solo nella regione sicula è possibile respirare. In quel periodo la squadra di calcio emerge dal dilettantismo e diventa un trampolino di lancio per un giovanissimo Zeman, capace di vincere il campionato di C2 nel 1985. Tre anni dopo arriva il salto in cadetteria, firmato da mister Aldo Cerantola… praticamente un oracolo da quelle parti.
La società sogna e malgrado casse più vuote che piene riesce nel 1989 a disputare un campionato di Serie B ben oltre le aspettative, con un nono posto finale sorprendente. Inoltre, per la formazione sicula, c’è pure l’onore di giocare nella Coppa nazionale contro il Milan campione d’Italia in carica. L’incontro, giocato al Rigamonti di Brescia visti i lavori di San Siro in previsione dei Mondiali, si conclude con un 2 a 0 per i “padroni di casa”, ma i gialloblù escono dal campo con il cuore che batte i tempi dell’orgoglio. Dopo la parentesi Papadopulo, torna sulla panchina delle aquile Cerantola, artefice della promozione in B, ma questa volta nessun miracolo salverà il Licata dalla retrocessione del 1990.
In quella stagione però non fu il diciottesimo posto l’unica onta della squadra, bensì un fatto più grave e decisamente impossibile da rimuovere: la morte del tifoso Franco Airò. Appena ventiquattro anni per un ragazzo che in quel 26 novembre del 1989 si aspettava di guardare tutto tranne che la morte in faccia. Al “Dino Liotta” di Licata arriva il Torino, appena retrocesso dalla massima serie e candidato all’immediata promozione, come infatti poi sarà. Da una parte giovani dal sicuro avvenire come Marchegiani, Mussi e il talentuoso Lentini… dall’altra una squadra senza nomi di prestigio ma fiera del proprio percorso.
Nei gialloblù c’è bomber La Rosa, vero punto di riferimento per gli altri dieci compagni, ma in quel match andrà a secco. Gli ospiti non fanno complimenti e al quattordicesimo passano in vantaggio con Policano. Nel frattempo arrivano i primi dati dai botteghini e l’incontro in terra sicula registra il tutto esaurito con record d’incasso. Tanti che si sono precipitati ad acquistare il biglietto… molti che non ci sono riusciti. Chi si attacca alla radiolina, chi resta fuori dai cancelli accontentandosi dell’atmosfera dello stadio per emozionarsi e chi invece approfitta del vicino palazzetto dello sport per gustarsi il match da posizione insolita. La struttura presenta una tettoia che affaccia sullo stadio e nel giro di pochi minuti questa si riempie di tifosi gialloblù. La prima frazione di gioco termina con la sola rete granata ma i padroni di casa escono dagli spogliatoi con nuove e decisive motivazioni… il pareggio è nell’aria! Sono le 15,42 quando il marchigiano Minuti timbra il gol dell’1 a 1.
La folla impazzisce e ogni tifoso del Licata esulta come se fosse una marcatura all’ultimo minuto valevole per la vittoria. Gioiscono naturalmente anche quei ragazzi sopra la tettoia ma quest’ultima non regge il peso della loro contentezza: crolla e per qualche secondo tutto si nasconde in una nuvola di polvere ed eternit. Poi torna la visibilità e la gente all’interno dello stadio prega affinché non sia successo nulla di grave, preghiere rimaste inascoltate. Una ventina di feriti ma soprattutto Franco è quello messo peggio: il trauma cranico lo porta al coma e poi alla morte. Un medico, poco prima dell’accaduto, aveva contattato le forze dell’ordine perché preoccupato che la tettoia non potesse reggere quelle persone, ma non venne preso in considerazione.
L’arbitro Di Cola fece proseguire l’incontro, quando ancora si parlava di feriti e nessun decesso, e il pubblico del “Liotta” non aveva intuito pienamente la gravità della situazione. Il pareggio finale passò in secondo piano e quella domenica si distaccò oltremodo dalla leggerezza che il calcio giustamente può e deve offrire, in quel giorno vennero meno le questioni di classifica perché chiunque si sentì sconfitto dentro. Il Licata, dopo altre quattro stagioni tra i professionisti, iniziò una parabola discendente che dal 1994 fatica a riemergere. Che la meravigliosa città riabbracci presto i vertici del pallone e quei colori tornino a ravvivare i palcoscenici più importanti… che non accada mai più invece ciò che si manifestò in quel maledetto 26 novembre 1989.
Luca Fazi