La stagione 1975-‘76 vede il Catanzaro tra le favorite del campionato di Serie B. Dopo un anno di rodaggio e ambientamento la squadra non si può più nascondere. È stata una delle protagoniste stagione 1974-‘75, facendosi notare come una formazione compatta, difficile da stendere. Ha fatto il record di 0-0 nella storia della B (13 totali), ancora imbattuto, e ha perso per un soffio il treno per la A nello spareggio perso con il Verona. Ma la città ora ci crede, la stampa pure.
Il presidente Ceravolo decide di puntellare la squadra con pochi innesti: dall’Avellino arriva Improta, un centrocampista scuola Napoli fortemente richiesto dall’allenatore Gianni Di Marzio. Michesi e La Rosa sono invece i rinforzi per l’attacco. Salutano Zuppa, Piccinetti, Luciano Garito e il secondo portiere Di Carlo. Al suo posto subentra Novembre dal Brindisi. Sarà una cavalcata esaltante, una bellissima stagione di successi che culminerà con la conquista di una grande, storica, seconda promozione in Serie A. Ecco come si presenta il Catanzaro ai nastri di partenza. Portieri: Pellizzaro, Novembre; difensori: Garito, Ranieri, Maldera, Silipo, Vichi, Vignando; centrocampisti: Arbitrio, Banelli, Improta, La Rosa, Nemo, Papa; attaccanti: Spelta, Braca, Michesi, Palanca. Il campionato prende il via il 28 settembre 1975. A Bergamo, il Catanzaro perde 1-0 con l’Atalanta. Ma la domenica successiva è Nemo a regalare la prima vittoria stagionale col Catania. Segue il pareggio a Taranto per 0-0, un classico, e un’altra vittoria in casa, stavolta contro l’Avellino, 3-1. Palanca brilla con una doppietta che demolisce gli irpini. Alla nona giornata il Catanzaro è in vetta. Stavolta a fare la differenza non è più la difesa che è pur sempre solida, bensì l’attacco. Il ragazzino di Porto Recanati è scatenato, solo nelle prime otto giornate eguaglia il bottino del torneo precedente: 4 gol. Ma è solo l’inizio. Segnano anche Improta, Banelli, Spelta. La nave insomma ha preso il largo. Fausto Silipo è intanto diventato una bandiera della banda. Una pedina inamovibile nello scacchiere di Di Marzio.
“La squadra” spiega il difensore catanzarese Silipo “aveva ingranato la quarta. Cresceva l’intesa in campo e soprattutto fuori. Non si faceva nulla di particolare, ma l’occasione era sempre utile per stare insieme. Per me erano i primi anni di matrimonio e quindi l’unico svago era rappresentato dalle cene a casa di qualche compagno. In generale, anche se fa ridere a ripensarci, non potevamo fare tardi la sera. Esisteva un orario di ritirata imposto dalla società: le 22. Oggi una cosa del genere è impensabile, ma noi la rispettavamo con serenità. La differenza forse con i giocatori attuali è che noi eravamo davvero umili. È stata la nostra semplicità a fare la differenza. Io, da catanzarese, avendo già conquistato la Serie A, sapevo inoltre a cosa stavamo andando incontro. Solo al pensiero mi venivano i brividi. Invece per molti della squadra quella era un’avventura nuova, speciale. Fatto sta che l’entusiasmo tra di noi aumentava, e con quello anche i risultati. Credo che anche la città, per come era strutturata, abbia giocato il suo ruolo decisivo. Noi abitavamo tutti in centro e non fu difficile saldarci con la gente. Ci fu un’alchimia insomma, squadra, tifosi e società si fusero in una cosa sola e fantastica”. Si narra che Palanca si svegliasse molto presto la domenica mattina per guardare fuori dalla finestra il cielo. Non era né pazzo né romantico, temeva la pioggia. In realtà non è che la temesse lui, la temeva Di Marzio. Il mister aveva paura di impiegarlo sui campi pesanti. Un vero problema per uno come Massimo, pensava, così piccolo e leggero, in un calcio fatto ancora essenzialmente di forza bruta e tanta corsa.
“È vero” spiega Palanca, “la prima cosa che facevo la domenica mattina appena mi svegliavo era di guardare fuori come fosse il cielo. Sapevo che con la pioggia avrei avuto poche chance di giocare. Tra l’altro, Di Marzio me lo ricordava bene… Spesso, quando la domenica mattina eravamo in ritiro, scappava fuori a controllare il variare delle nuvole. Diciamo che era un po’ fissato col meteo. Una volta a Firenze cambiò formazione addirittura sette volte. In alcune c’ero e in altre no. Appena si svegliava anche lui vedeva com’era il tempo. Se era nuvoloso mi annunciava: oggi non ti posso far giocare. Magari passava un quarto d’ora, usciva il sole, e cambiava idea: vedi che oggi giochi, mi diceva. Questa cosa, anche se ormai avevo imparato a conviverci, mi dava un po’ fastidio. In generale credo sia destabilizzante per qualsiasi giocatore non sentirsi mai sicuro del posto in squadra. In ogni caso non la accettavo anche perché non volevo essere etichettato come quello da campi asciutti. Avevo dimostrato che non era così. E poi le migliori partite le avrei disputate sotto la pioggia e sui campi pesanti. Ma era il suo modo di pensare, e noi non potevamo che adeguarci”.
Alla dodicesima giornata del girone d’andata il Catanzaro si presenta a Marassi da capolista. Anche il Genoa è in testa, quindi la sfida si preannuncia decisiva per le prospettive delle aquile. I liguri sono considerati i più forti del campionato. Il tecnico Simoni conta tra l’altro sui giovani Conti e Pruzzo che presto diventeranno simboli del secondo scudetto della Roma. La gara è combattuta fino all’ultimo, poi, quando tutto sembra volgere verso un pareggio a reti bianche, ecco il colpo di scena: Vignando batte forte in corsa da lontano facendo carambolare il pallone su Conti che devia imparabilmente alle spalle dell’incolpevole Girardi. È la partita della svolta. Il Catanzaro da quel momento in poi non mollerà più i vertici del campionato fino a primavera, alternandosi in testa spesso con Genoa e Varese.
Così, alla ventinovesima giornata del torneo, il Catanzaro affronta il Novara in lizza per la promozione. La gara è deludente, non si va oltre il pareggio. Il Novara va in vantaggio nel primo tempo con l’ex di turno, Claudio Piccinetti, ma a cinque minuti dal termine Massimo Palanca pareggia le sorti della partita realizzando il suo settimo gol stagionale. Siamo quasi allo scadere: ancora Palanca, lanciatissimo sulla corsia sinistra, precipita involontariamente sul guardalinee Marcello Percopo causandogli un bruttissimo incidente alla caviglia. A quel punto la gara sta per essere sospesa quando si presenta dall’arbitro Lattanzi un tale, alle cronache Mario Negro, che si qualifica come arbitro tesserato federale. Lattanzi lo accetta come collaboratore e fa riprendere il gioco. Peccato, finisce 1-1. Ma il presidente Ceravolo, che prima di essere un grande uomo di calcio era soprattutto un avvocato molto avveduto, corse ai ripari. O meglio, fiutò qualcosa di anomalo. Scavando a fondo alla storia di quel tale Mario Negro scoprì che era stato sospeso dall’attività arbitrale. Dunque il Catanzaro presenta subito un ricorso, ottenendo dalla giustizia federale la ripetizione del match. Tutta un’altra storia. Le aquile piegano stavolta il Novara 3-1. È il 17 giugno, segnano Palanca, due gol e Improta. Alla vigilia dell’ultima giornata di campionato, il Catanzaro è in testa alla classifica insieme a Genoa e Foggia con 43 punti. Seguono Varese e Brescia a 42, Novara a 41. La partita decisiva si gioca a Reggio Emilia, contro una Reggiana già condannata alla Serie C. Non ci sono alternative: bisogna vincere per raggiungere la matematica quota promozione. Come si dice in questi casi, il destino dipende solo dai ragazzi di Di Marzio. Inutile negarlo, la partita ha il sapore dello spareggio. I tifosi sono ancora scossi dell’ultimo drammatico scontro di Terni. Anche in questo caso si registrano esodi in massa di tifosi verso l’Emilia. E anche stavolta ci sono feriti a causa di incidenti stradali. La paura che si ripeta l’epilogo della scorsa stagione è palpabile. Ma stavolta non si sfida una squadra parigrado, ma una formazione abbondantemente retrocessa, che in teoria non ha nulla più da chiedere al campionato. E invece non è così. La Reggiana venderà molto cara la pelle. Parte la sfida, non senza sorprese. Di Marzio manda in tribuna Ranieri, una colonna fino a quel momento nello scacchiere giallorosso con 32 presenze soltanto nell’ultima stagione. “In quell’occasione ci fu un motivo tattico ben preciso” spiega Di Marzio. “Temevo che Claudio potesse andare in sofferenza contro il loro esterno che si chiamava Passalacqua. Era il classico tornante che giocava alto, scattante, molto rapido. Anche in quel caso fu una scelta dura ma nell’interesse della squadra”. Dunque Banelli giocò da terzino.
Questa la squadra che Di Marzio schiera a Reggio Emilia quel fatidico 20 giugno 1976: Pellizzaro, Silipo, Vignando, Banelli, Maldera, Vichi, Nemo, Improta, Spelta, Braca, Palanca. In panchina: Novembre, Arbitrio, Michesi. Sono più di diecimila i tifosi giallorossi che gremiscono lo stadio “Mirabello”. “Quando entrammo in campo vedemmo lo stadio tutto tinteggiato dei nostri colori. Fu come giocare in casa, il pubblico era ancora interamente dalla nostra parte” rammenta Palanca. I tifosi della Reggiana invece non hanno seguito la loro squadra nell’ultima di campionato. La delusione ha preso il sopravvento per la prematura condanna in C. Il primo tempo finisce 0-0. Nel secondo, la partita stenta a sbloccarsi fino a quando Vignando non lascia partire un forte diagonale che si stampa sul palo. Sulla palla si avventa Palanca che buca il portiere Piccoli. È l’1-0, di rapina, Palanca! Esplode il Mirabello. Il gol viene realizzato al 26′, parte il conto alla rovescia per la festa. Con il vantaggio raggiunto, la squadra di Di Marzio acquista ancora più fiducia, mentre la Reggiana fatica a reggere la pressione degli avversari. Ormai manca poco al termine, appena cinque minuti. Ed ecco sopraggiungere la sorpresa che non ti aspetti: rapido contropiede dei granata e Sauro Frutti, appena entrato, tira con forza un pallone che si scaglia prima contro la traversa e poi finisce in rete. L’incubo di un nuovo spareggio si fa reale. Col pari è sfida col Varese che gira a mille e sembra molto più in forma della squadra calabrese. Intanto il tempo scorre e si arriva al novantesimo: “Eravamo allo scadere e mi buttai in fondo all’area sulla sinistra” racconta Nemo. “Nessuno mi seguì, ero solo. A un certo punto vidi arrivare una palla dalla destra, un lungo traversone e dentro di me, nel periodo in cui viaggiava in mezzo all’aria, dissi: adesso se io la tiro in porta e sbaglio, qua sotto mi ammazzano. Con la coda dell’occhio vidi Improta che scendeva sul dischetto del rigore e gliel’appoggiai di testa, lui di piatto la mise dentro…“.
È la vittoria, il delirio. L’esultanza dei tifosi è incontenibile. Invasione di campo, abbracci, una gioia senza fine. Il Catanzaro, dopo aver perso l’anno precedente lo spareggio per la Serie A col Verona, riesce nel colpaccio di centrare la sua seconda storica promozione. Un successo realizzato con un gruppo, quello allestito nel 1974, che davvero in pochi all’inizio avrebbero mai immaginato potesse arrivare così in alto. Fu la vittoria di Ceravolo, dell’allenatore Di Marzio, dei giocatori e della città intera che si era stretta intorno alla sua squadra. La gioia a Catanzaro durò per mesi. La società affittò quei trenini del mare che servono a portare i turisti in giro e ci caricò su la squadra al gran completo. Sulla cappotta di un vagoncino sedevano, come fossero due cocchieri, Ceravolo e Di Marzio. Dietro, uno scatenato Silipo con Palanca tutto imbandierato di giallorosso. Il trenino partì dallo stadio per fare il giro della città. Le strade furono invase dalla gente. Le feste accompagnarono quell’estate, la più dolce che la banda ricordi.
Fonte: Catanzaro ’74. La vera storia di una squadra mitica di Giovanni Merlo