Siamo nell’estate del 1967, quella che in California verrà definita la “Summer of Love”, in cui da Berkeley parte la Rivoluzione dei Fiori che esploderà con il concerto di Monterey, l’estate in cui escono “Are you experienced?” di Jimi Hendrix, “Surrealistic Pillow” dei Jefferson Airplane e gli album omonimi dei Doors e dei Grateful Dead. Da questa parte dell’Oceano i Fab Four celebrano il Mondiale vinto un anno prima da Bobby Charlton e compagni con il “Magical Mystery Tour” e “Sgt.Pepper Lonely Hearts Club Band”, mentre in Francia una piccola squadra di provincia, il Saint-Etienne vince per la terza volta nella sua storia il campionato. Sono passati troppi anni dall’epopea dello Stade-Reims senza che una squadra francese faccia parlare di sè anche in Europa, e per Roger Rocher, ambizioso e geniale presidente dei Verts, è giunta l’ora di voltare pagina; il tecnico che può far fare il salto di qualità alle Pantere non può essere altri che Albert Batteux, il primo vero teorizzatore del cosiddetto calcio-champagne, che ha guidato dieci anni prima lo Stade-Reims e la Nazionale al Mondiale 1958, e che ha fatto diventare un giovane minatore di origine polacca di nome Raymond Kopaszewski il Napoleone del calcio francese con il soprannome di Kopa. Batteux eredita dal predecessore Jean Snella un’ottima squadra, con il portiere Carnus, il difensore Bosquier, i centrocampisti Robert Herbin e Aimè Jacquet (proprio lui…), gli attaccanti Hervè Revelli e Bereta.
Il primo colpo di mercato – come racconta Carlo Maerna in un accurato articolo – voluto da Batteuxè un giovane talento del Mali: Salif Keita. La leggenda vuole che Keita, allora sconosciuto, sia fuggito da Bamako senza il visto per la Francia, ed una volta atterrato all’aeroporto di Paris-Orly sia salito su un taxi esclamando: “Le stade de Geoffroy Guichard, à Saint-Etienne”, senza sapere che si trovasse ad oltre 500 km. Rocher però non si è mai pentito di aver pagato quel salatissimo conto del taxi, perchè Keita è un fuoriclasse vero e trascina il Saint-Etienne alla vittoria di tre campionati consecutivi tra il 1968 e il 1970 (con l’aggiunta in bacheca di diverse coppe nazionali), tanto che secondo i suoi compagni è “il calciatore più forte mai visto” mentre Batteux, nel descriverlo, non sceglie certo il profilo basso: “se fosse nato in Brasile avrebbe oscurato la stella di Pelè”. Dopo alcuni assalti all’Europa terminati senza gloria, nella Coppa dei Campioni 1969-‘70 i Verts hanno l’occasione di entrare nella storia dopo essere stati sorteggiati già al primo turno con il talentuoso Bayern Monaco dei giovani Sepp Maier, Franz Beckenbauer e Gerd Muller. L’andata è in Baviera e la squadra di Batteux viene letteralmente asfaltata dai tedeschi; i gol di Brenninger e Roth (non sarà il suo ultimo gol ai Verts) valgono il 2-0 finale, ma i gol potrebbero essere molti di più se il Bayern, troppo sicuro della qualificazione, non peccasse di presunzione nel finale, fallendo numerose occasioni. Il primo ottobre 1969 si gioca il ritorno al Geoffroy Guichard; Batteux, sfruttando la sua grande eloquenza ed il suo carisma, ha portato in ritiro la squadra per caricarla a dovere (all’epoca il ritiro era molto meno comune di quanto si pensi), tanto che dopo due minuti di gioco Hervè Revelli, ha già aperto le marcature. Trascinati dal pubblico caldissimo, dopo un’ora di gioco i Verts pareggiano i conti ancora con Hervè Revelli, un vero leone d’area che per lo stile di gioco coraggioso può ricordare il nostro Boninsegna e che per tanti anni vestirà la maglia del Saint-Etienne segnando gol a raffica. A nove minuti dalla fine è l’asso Keita, con uno strepitoso colpo di testa, a segnare il 3-0 che vale il sorpasso e che manda in visibilio i tifosi allo stadio e la Francia intera, unita nel tifo per i Verts contro il fortissimo Bayern. Purtroppo nel turno successivo la sfortunaed il solido Legia Varsavia di Kazimierz Deyna (autore di due gol nel doppio confronto) e Gadocha eliminano i francesi, che l’anno successivo escono già al primo turno contro il Cagliari a causa di una doppietta del miglior Gigi Riva di sempre. Il ricco Olympique Marsiglia intanto copre di denaro Carnus, Bosquier e Keita, che se ne vanno, Batteux entra in attrito con la società, ed i risultati sempre meno soddisfacenti convincono Rocher che è l’ora di rinnovare la squadra affidandola proprio a Robert Herbin, che a soli 33 anni prende il timone di una squadra in possibile declino e che decide di rilanciare partendo dai giovani e dai migliori talenti lanciati da Batteux: è il 1972. Come giocatore Herbin è un centrocampista estremamente versatile, ha disputato il Mondiale 1966 e terminato la carriera in difesa anche se non in nazionale perchè in quegli anni debutta la fortissima “garde-noire” formata da Jean-Michel Adams e Marius Tresor. Un anno, schierato come punta, ha segnato oltre venticinque gol; questa sua duttilità da vero e proprio giocatore universale e la grande considerazione nei confronti del maestro Batteux lo portano a capire prima di altri quale sia l’importanza del gioco collettivo. Herbin è inoltre uno dei primi allenatori a dare grande peso alla preparazione atletica, comprendendo come il gap del calcio francese nei confronti di quello nord-europeo in quegli anni sia da colmare soprattutto sul piano fisico. Non è un caso che il modello di gioco a cui Herbin si ispira sia quello dell’ Ajax di Cruijff e Neeskens.
Per la stampa francese Herbin è “la Sfinge”perchè in panchina non lascia mai trasparire la minima emozione, nè rivela mai il segreto del suo grande rapporto con i giocatori che lo stimano e lo rispettano nonostante un carattere duro ed energico, e degli allenamenti decisamente faticosi. Per costruire il nuovo Saint-Etienne, insieme ad Herbin, Rocher nomina come direttore sportivo Pierre Garronaire, un ex rappresentante di “maroquinerie” che però conosce bene il calcio e ha contatti in tutto il paese; questa rete di amicizie (non nel senso italiano-moggiano del termine) gli permette di avere sempre in anteprima le notizie sui migliori giovani, che subito contatta per portarli a Saint-Etienne. Il suo lavoro di scouting dà immediatamente grandi risultati, perchè i Verts ritornano campioni nella primavera del 1974. Della squadra di Batteux sono rimastiil bravo terzino Gerard Farison (uno dei primi difensori davvero continui anche nella fase offensiva), Jean-Michel Larquè, “meneur-de-jeu” della nazionale dotato di grande classe e specialista dei calci piazzati, Georges Bereta che però decide di andarsene alla fine del 1974 per contrasti con Rocher (proprio Larquè ne prende il posto come capitano dei Verts), ed Hervè Revelli, ritornato dopo una parentesi di due anni al Nizza. L’assalto alla Coppa dei Campioni, vero obiettivo del Saint-Etienne che ormai domina facilmente in campionato, può finalmente ripartire. Siamo nel 1974, la Germania Ovest è campione del mondo, l’Olanda di Johann I e II (Cruijff e Neeskens) ha buttato al vento la finale dopo essere stata in vantaggio e dopo aver peccato di presunzione contro i padroni di casa. La Coppa è il vero apogeo della carriera di Maier, Beckenbauer, Breitner, Hoeness e Gerd Muller, fuoriclasse che poche settimane prima, con il Bayern, hanno portato per la prima volta in Germania la Coppa dei Campioni. Il Saint-Etienne di Herbin intanto è ritornato campione di Francia dopo 4 anni di digiuno, e può così tentare un nuovo assalto all’Europa, vero sogno proibito del presidente Rocher. La squadra allestita dal direttore sportivo Garronairee dallo stesso Herbin annovera campioni nel pieno della carriera come Larquè, Bereta, Farison ed Hervè Revelli, di cui già abbiamo detto: sono loro che formano l’ossatura della squadra, ma i due leader dei Verts, in campo e nello spogliatoio, sono due stranieri all’inizio non molto noti, ma che Herbin, che li ha voluti con grande decisione nell’estate del 1972, trasformerà in fuoriclasse assoluti.
Ivan Curkovic, portiere jugoslavo del Partizan di Belgrado, è il primo tassello voluto da Herbin; Curkovic è un estremo difensore di grande personalità e professionalità, ideale completamento in campo del suo allenatore, dedito al duro allenamento spesso svolto proprio con Herbin; la sua calma e il suo grande rigore tattico lo portano a comandare in maniera perfetta uno dei migliori reparti difensivi del mondo, tra i primi a fare uso sistematico della tattica del fuorigioco; solo una concorrenza di enorme livello (Pantelijc, Maric, Petrovic) nell’allora fortissima Jugoslavia gli impedisce di partecipare al Mondiale 1974, ma le grandi prestazioni nelle coppe europee (giocò anche la finale contro il Real nel 1966) gli permettono di entrare a buon diritto tra i migliori portieri della sua epoca. ll secondo straniero acquistato da Rocherper rinforzare la squadra è un giovane attaccante argentino del Velez Sarsfield; accolto con una certa diffidenza la notte del suo arrivo da Buenos Aires, è particolarmente impreciso sottoporta ma diventerà con il tempo uno dei migliori difensori sudamericani dell’epoca (insieme a Passarella, Figueroa, Luis Pereira e Marinho), ed in assoluto il giocatore più amato della storia del Saint-Etienne: il suo nome è Oswaldo Piazza. L’idea geniale è di Herbin, trasformare in difensore centrale questo talento offensivo dalla mira imprecisa ma con un cuore generoso e una potenza fisica straripante, “Va bene mister, giocherò in difesa, ma voglio avere la più completa libertà di avanzare, perchè questo è il modo in cui io intendo il calcio: sempre all’attacco”; Herbin non può che essere d’accordo, e in questo momento nasce il mito delle “montées offensives”, le poderose cavalcate “capelli al vento” di Oswaldo Piazza, idolo dei tifosi (e sopratutto delle tifose) del Geoffroy-Guichard. Solamente a causa della dittatura di Videla, che impedisce agli argentini che militano in Europa (tranne Kempes) di essere convocati da Menotti, Piazza non potrà giocare, e vincere a fianco di Passarella, il Mondiale 1978 (al suo posto il più modesto Luis Galvan). Tanto il rigore e la professionalità di Curkovic quanto il coraggio, il carisma e la personalità di Piazza sono il vero segreto del gruppo dei Verts, l’arma che porterà questa piccola squadra a conquistare il cuore dei francesi e dei tifosi di tutta l’Europa; ancora una volta Herbin ha visto giusto. In uno spogliatoio dove i leader sono uomini come Curkovic, Larquè, Piazza e Revelli è inevitabile che giovani di talento, scoperti da Garronaire in tutto il paese, riescano a maturare diventando veri e propri campioni; in difesa ci sono Gerard “le Cerbère” Janvion e Christian Lopez; il primo è un marcatore rapidissimo originario della Martinica che presto diventerà titolare inamovibile della nazionale, il secondo è un baffuto libero elegante ed ordinato, perfetto complemento dell’anarchico Piazza: entrambi sono in grado di svolgere la fase offensiva con grande qualità (e non è comune tra i difensori degli anni Settanta, che spesso avevano come unico compito quello di annullare l’avversario diretto).
A centrocampo, insieme a Larquè, giocano Christian “le Chtì” (“le Chtì” perchè originario del Nord-Pas de Calais: durante la Prima Guerra Mondiale i soldati che combattevano sul fronte “di casa”, sulla Somme o in Piccardia, dicevano di essere “chtì” che in pratica vuol dire “sono di qui”) Synaeghel, interno elegante detto anche “la formica” per via di un fisico decisamente gracile ed il potente Dominique Bathenay, una sorta di Tardelli francese, abile nella costruzione, fortissimo nel contrasto e dotato di un gran tiro dalla distanza: giocherà il Mondiale in Argentina, ma non quello del 1982, nonostante sia di gran lunga il miglior mediano francese, a causa di contrasti con Hidalgo e soprattutto Platini.
Davanti, con Bereta e H.Revelli ci sono l’ala sinistra di origine spagnola Christian Sarramagna, che come tutte le ali sinistre classiche è un dribblomane in grado di fare giocate strepitose oppure di non beccare mai la palla per tutti i 90 minuti, Patrick Revelli (fratello minore di Hervè), attaccante “fisico” in grado di cambiare il volto alle partite con le sue accelerazioni e i suoi cambi di passo, ed infine Yves “Tintin” Triantafilos, centravanti di origine greca arrivato dall’Olympiakos. La Coppa dei Campioni 1974 mette subito di fronte ai Verts un avversario non facile, lo Sporting Lisbona di Hector Yazalde, centravanti dell’Argentina ai Mondiali e Scarpa d’oro in carica con 46 gol; il Saint-Etienne si qualifica agevolmente con gol di Hervé Revelli e Bereta all’andata e di Synaeghel al ritorno (in Portogallo) rendendo inutile l’unico gol di Yazalde, che marcato dal solido Piazza non la vede granchè. Il secondo turno contro l’Hajduk Spalato è tutta un’altra storia, il 23 ottobre 1974 in trasferta l’arbitraggio del turco Babacan e soprattutto i dribbling dell’asso Ivica Surjak distruggono la difesa dei Verts; Hervè Revelli mette una pezza al gol iniziale di Jerkovic, ma nel secondo tempo ancora Jerkovic, Zungul e Mijac portano l’Hajduk sul 4-1 che sembra chiudere la qualificazione; Piazza (e chi se no?), uno che non ama perdere, scatena una megarissa negli spogliatoi minacciando vendetta. L’ambiente è sfiduciato; il giorno prima della partitadi ritorno il Borussia Monchengladbach ha fatto 5 gol a Lione (la squadra rivale dei Verts) e Rocher non crede che il calcio francese possa mai uscire dalla mediocrità: Herbin però chiede al suo dirigente di aspettare a dare giudizi, perchè i Verts non sono ancora eliminati. Occorrono tre gol e poco dopo la mezz’ora Jean-Michel Larquè apre le marcature, ma allo scoccare dell’ora tutto sembra perduto allorchè il solito Jerkovic pareggia i conti. Passa un minuto e Bathenay riapre la partita con un siluro dei suoi, Herbin toglie il terzino Repellini per mettere la quarta punta Triantafilos e il suo coraggio paga: al 71′ Synaeghel viene atterrato in area e Bereta, all’ultima partita coi Verts (cacciato da Rocher per i contatti col solito OM) fa il 3-1 su rigore; mancano venti minuti e a otto dalla fine proprio il nuovo entrato “Tintin” segna il gol che vale i supplementari, completando l’opera in piena trance agonistica allo scadere del primo supplementare sottraendo una punizione a Bereta “Berette, a moi!” e sparandola alle spalle di Meskovic: finisce 5-1, è il 6 novembre 1974, e al Geoffroy-Guichard, dopo un recupero che sembrava impossibile, nasce la leggenda dei Verts.
Passiamo al marzo 1975, ed ai quarti di finale della Coppa contro i polacchi del Ruch Chorzow; andata in trasferta, e come spesso accadeva nei paesi dell’est (per motivi che si possono ben immaginare, basti pensare alla Roma in casa del Carl Zeiss Jena), il Saint-Etienne incontra una squadra che va al doppio della velocità, e dopo un’ora di gioco è sotto tre a zero. In una situazione così difficile il merito dei Verts è quello di non mollare e così Larquè e Triantafilos riescono a ridurre il passivo ad un solo gol di scarto. Al ritorno il gol qualificazione arriva già al terzo minuto con Janvion, anche se occorre soffrire fino in fondo, quando Hervè Revelli chiude i conti per il 2-0 da segnare sugli almanacchi. In campionato il Saint-Etienne è protagonista di imprese incredibili, analoghe a quelle di Coppa, in particolare contro Olympique Marsiglia e Bastia; all’ultima giornata Herbin, per festeggiare il titolo, scende in campo in difesa contro il Troyes, realizzando addirittura il 5-0 su rigore; anche la Coppa di Francia vede trionfare i Verts, ma in Europa la semifinale mette loro di fronte l’avversario più forte; i campioni in carica del Bayern Monaco. L’andata purtroppo si gioca in Francia, e gli attacchi dei Verts si infrangono contro la porta di Maier; al ritorno passano due minuti e Beckenbauer porta il Bayern in vantaggio, il “gioco collettivo” (come vuole Herbin) del Saint-Etienne è bello a vedersi, ma maledettamente poco efficace contro i tedeschi, Durnberger raddoppia al 69′ e per i Verts la finale di Parigi rimarrà un’utopia. Il Bayern rivincerà la coppa al Parc des Princes contro il Leeds ma il Saint-Etienne è pronto per un nuovo assalto alla Coppa 1975-‘76. Con un’arma in più, un giovane fuoriclasse chiamato “l’Ange Vert”… Mercoledì 17 Settembre 1975: ricomincia la grande rincorsa del Saint-Etienne al sogno proibito del presidente Rocher, la Coppa dei Campioni; i Verts esordiscono a Copenaghen, contro il KB, avversario tutt’altro che proibitivo, ma che potrebbe dare dei problemi sul piano fisico; i ragazzi di Herbin sono ormai maturi, e lasciati sfogare i volenterosi avversari senza rischiare nulla nel primo tempo, colpiscono nella ripresa con Patrick Revelli e Jean-Michel Larquè, entrambi in rete anche al ritorno in Francia. Proprio nel retour-match allo Geoffroy-Guichard si presenta sul palcoscenico europeo (con il primo gol del 3-1 finale) un giovanissimo talento destinato a diventare una stella e a segnare un’epoca nella Nazionale di Platini: Dominique Rocheteau. Nato da una famiglia di ostricultori nella Harentes-Maritimes, sulla Costa Atlantica, viene scoperto giovanissimo da Pierre Garronaire che lo sottrae al Nantes; esordisce in prima squadra ma dopo pochissime partite un terzinaccio del Lione gli rovina il ginocchio e lo costringe a star fermo un anno. Rientra nell’estate 1975 e dopo una grande amichevole estiva con il Leeds vice-campione d’Europa viene convocato da Stefan Kovacs in nazionale appena ventenne e schierato nell’amichevole celebrativa contro il Real Madrid (!); l’esordio è fortunatissimo, Rocheteau va in gol dopo pochi minuti e disputa una partita bellissima dribblando in continuazione l’altrettanto giovane terzino Camacho; l’impressione destata è tale che Rocher deve rifiutare un’offerta dello stesso Real per il suo gioiellino. Fisico alto e slanciato anche se piuttostro fragile muscolarmente, veloce ma allo stesso tempo potente, sempre correttissimo (solo due gialli in carriera), Rocheteau è un attaccante (Herbin lo schiera ala destra) dotato di un dribbling meraviglioso e di uno smisurato talento offensivo; purtroppo siamo in un’epoca in cui i giocatori di maggior classe non sono adeguatamente tutelati dagli arbitri, e più di una volta l’“Ange Vert” farà le spese degli interventi brutali dei difensori di tutta Europa, vedendo la propria carriera segnata costantemente dagli infortuni. Appassionato di musica californiana (Jefferson Airplane, Eagles, Grateful Dead sono i suoi gruppi preferiti) ed orientato politicamente a sinistra, Rocheteau partecipa spesso a riunioni dei partiti rivoluzionari ed appoggerà la campagna presidenziale del conterraneo (anche lui Charentais) Mitterand nel 1981.
Gli ottavi mettono di fronte ai Verts i pericolosi e rocciosi Rangers (talmente pericolosi e rocciosi che durante il riscaldamento un attaccante rompe il polso al proprio portiere); all’andata in casa il Saint-Etienne passa due volte ancora con P. Revelli e con Bathenay, mentre nel ritorno, dopo un primo tempo di attesa sono due capolavori di Rocheteau a segnare la gara; il primo con un dribbling secco sul difensore poco dentro l’area con tiro sul palo vicino, il secondo con un assist perfetto ad Hervè Revelli dopo un contropiede di 60 metri palla al piede; a nulla serve l’1-2 finale di MacDonald, il Saint-Etienne è pronto ad affrontare i migliori avversari ed al sorteggio i Verts pescano veramente i più forti d’Europa: i sovietici della Dinamo Kiev. Dopo aver battuto in finale di Coppa delle Coppe gli ungheresi del Ferencvaros, la Dinamo ha la possibilità di vincere anche la Supercoppa Europea nell’autunno 1975 contro il Bayern: la finale è decisa da Oleg Blokhin, sia all’andata in Germania, con un gol incredibile scartando quattro avversari, che al ritorno con una doppietta; Blokhin è un fuoriclasse giovanissimo (a 23 anni è già stato 4 volte capocannoniere del campionato sovietico) e molti in Europa lo paragonano addirittura a Cruijff: in effetti le giocate che mostra l’asso di Kiev sono strepitose, perchè oltre a possedere una tecnica da brasiliano, un fisico di tutto rispetto ed un tiro (specie il sinistro) potentissimo, è in grado di correre i 100 metri in 10’8” (per migliorare ancora si allena spesso con l’amico e campione olimpico Valeri Borzov). La Dinamo però non è solo Blokhin,tutti i giocatori sono nazionali dell’URSS, in porta c’è il fortissimo Evgeni Rudakov, in difesa i centrali sono Rechko (libero) e Fomenko, a sinistra gioca Matvienko (unico non titolare in nazionale) mentre dall’altra parte c’è l’ottimo Trockhin. A centrocampo giocano in mezzo il capitano Kolotov, con Anatoli Konkov, Leonid Burjak e Vladimir Veremeev, mentre davanti ci sono Blokhin e Onitchenko. Come il Saint-Etienne di Herbin, anche la Dinamo di Lobanovski è una squadra il cui gioco è incentrato sul collettivo; nonostante emerga la classe immensa di Blokhin (che proprio nel 1975 vince il Pallone d’oro), tutti i giocatori corrono e ripiegano in difesa per poi ripartire velocemente in attacco: in questo modo la Dinamo di Lobanovski giocherà per 30 anni senza mai cambiare stile di gioco.
L’andata dei quarti si gioca il 3 Marzo 1976 a Simferopoli in Crimea, perchè lo stadio di Kiev è completamente congelato; i francesi credono di arrivare nella Cote d’Azur russa ma in realtà fa un freddo siberiano: la Dinamo offre una grande dimostrazione di forza, H.Revelli e Rocheteau sono isolati in avanti e non la vedono mai, mentre Curkovic salva più volte la propria porta, capitolando solo in occasione di un tiro di Konkov deviato da Bathenay e su un colpo di tibia di Blokhin (che Janvion bene o male è riuscito a contenere durante la partita); senza dubbio i gol sarebbero potuti essere molti di più di quelli del 2-0 finale, ma la sensazione data in campo è quella di una qualificazione già decisa in favore della Dinamo. Il ritorno del 17 marzo viene preparato con grandissima cura da Herbin, consapevole di come la perfetta macchina ucraino-sovietica possa avere un punto debole nella condizione fisica, per via del fatto che il campionato russo d’inverno è fermo. Entrambe le squadre sono in formazione tipoed il Saint-Etienne gioca con Curkovic in porta, Janvion, Christian Lopez, Piazza e Farison in difesa, Bathenay, Larquè e Synaeghel a centrocampo e Rocheteau, Hervè Revelli e Sarramagna in attacco, l’arbitro è l’italiano Gonella. La Dinamo gioca con un catenaccio vergognoso in cui i difensori stanno sulla linea dell’area di rigore e i centrocampisti (aiutati dalla punta Onitchenko) sulla trequarti, lasciando al solo Blokhin, marcato da Janvion, il compito di lanciare dei contrattacchi in solitario. Sulla destra Rocheteau salta sempre Matvienko ma viene sistematicamente steso, mentre sull’altra fascia Sarramagna prende un pestone da Trokhin (verrà sostituito all’intervallo da P.Revelli) e non riesce mai a crossare per H.Revelli; gli attacchi dei Verts, trascinati dalle progressioni di Oswaldo Piazza, sono continui ed arrembanti ma nel primo tempo sono pochissimi i pericoli reali corsi da Rudakov.
Passa ancora un quarto d’ora della ripresa senza che il risultato si sia sbloccato, ma al 63′ cambia la partita; un calcio d’angolo battuto da Rocheteau termina lungo, Trokhin rinvia e sulla trequarti c’è Blokhin che parte palla al piede all’attacco. Di fronte a lui c’è Janvion ma Blokhin lo evita con una finta magica, e supera di slancio anche Lopez, l’ultimo difensore; di fronte a Blokhin giunto ormai in area dopo un’accelerazione di settanta metri c’è solo Curkovic, ma il fuoriclasse sovietico commette un errore imperdonabile: invece di concludere per una rete sicura, o di passare alla sua sinistra verso Onitchenko completamente solo, alza la testa e guarda negli occhi Curkovic; passano due interminabili secondi che permettono a Christian Lopez di recuperare, Blokhin prova a scartarlo con un dribbling a rientrare ma perde il rimpallo ed il difensore può così salvare la sua porta dal pericolo colossale. La palla intanto rotola mansueta a centrocampo tra i piedi di Oswaldo Piazza che parte all’assalto travolgendo prima Veremeev e poi Kolotov, l’argentino passa a Patrick Revelli contrastato da Rechko al limite dell’area, la palla si impenna poco davanti alla porta di Rudakov che non esce, arriva come un treno ancora Piazza ma Hervè Revelli anticipa tutti con un tocco d’esterno che beffa Rudakov e porta in vantaggio il Saint-Etienne. In trenta fantastici secondi la partita si sarebbe potuta definitivamente chiudere, e invece si riapre a causa dell’incredibile errore di presunzione di Blokhin e del sangue freddo di Curkovic; passano otto minuti e Gonella (diventato improvvisamente fiscale dopo una partita in cui i sovietici hanno fatto falli tremendi senza essere nemmeno ammoniti) fischia al limite dell’area una punizione dubbia; va sulla palla il capitano Jean-Michel Larquè, Rudakov si piazza in mezzo alla porta, Larquè mira sul suo palo e lo fulmina con una conclusione a mezz’altezza: 2-0 per i Verts e qualificazione in perfetta parità. La Dinamo inizia allora a giocarema prima della fine dei tempi regolamentari l’occasione capita a Patrick Revelli che calcia a lato dopo una cavalcata di Piazza. Si va ai supplementari, Rocheteau chiede insistentemente il cambio prima per i crampi e poi perchè si è stirato, ma è già entrato Santini al posto del capitano Larquè infortunato, e la Sfinge Herbin fa finta di niente. Nel primo tempo supplementare Gonella non fischia rigore quando Lopez falcia in area Onitchenko (i sovietici non protestano mai durante la partita): in questa fase la Dinamo è molto più brillante, anche Piazza ha i crampi e il Saint-Etienne è sulle ginocchia. Al minuto 112 però avviene il miracolo, Patrick Revelli in area si beve Fomienko, si porta sul fondo e la mette all’indietro alla cieca; Dominique Rocheteau, completamente solo, colpisce di prima intenzione e scarica la palla sotto la traversa, è il 3-0 che vale l’apoteosi del Geoffroy Guichard. Mancano pochissimi minuti e a uno dalla fine Janvion salva miracolosamente la sua porta su Blokhin; Gonella fischia la fine (Hervè Revelli gli sottrae il pallone ricordo), tutta la Francia festeggia il trionfo dei Verts ed il giovanissimo Rocheteau è l’eroe della serata: il Saint-Etienne è di nuovo in semifinale.
Il Saint-Etienne deve affrontare i Campioni d’Olanda del PSV Eindhoven, la squadra che ha scalzato il mitico Ajax dal trono olandese (Ajax senza Johann I & II già al Barcelona, d’accordo, ma ci sono ancora Haan, Geels, Krol, Suurbier e i due Muhren), e che è allenata da Kees “Trottinette” Rijvers, che sul finire degli anni ’50 aveva militato proprio nel primo grande Saint-Etienne delle stelle Mekloufi e N’jo Lèa. Il PSV è una squadra molto solida, ha eliminato nei quarti l’Hajduk Spalato con una clamorosa rimonta in casa completata nei supplementari (come il Saint-Etienne l’anno prima), e la sua ossatura è formata dai giocatori che due anni dopo arriveranno a pochi centimetri dalla Coppa del Mondo in Argentina (il famoso palo di Rensenbrink, eccetera); le stelle sono i due gemelli Willy e Renè Van de Kerhof, ma ci sono anche il fortissimo portiere Van Beveren, poi Van Kraay, Poortvliet, Van der Kuijlen e Huub Stevens, e in attacco insieme a Dahlqvist c’è il gigante svedese (193 cm, altezza insolita per l’epoca) Ralf Edstrom, quello del fantastico gol con tiro al volo contro Sepp Maier in Germania Ovest-Svezia dei Mondiali 1974, con annessa esultanza leggendaria. Si comincia al Geoffroy Guichard, e questa volta il Saint-Etienne non può fallire la gara d’andata sperando nell’aiuto del pubblico al ritorno; occorre vincere, se possibile con più di un gol di scarto, per poi difendere con tranquillità il risultato. La partita si mette bene subito dopo 14′: Rocheteau si beve Van Kraay che lo stende al limite, Jean-Michel Larquè aggira la barriera con un tiro basso e angolato e porta il Saint-Etienne in vantaggio. I Verts continuano ad attaccare ma Van Beveren è in giornata di grazia, poi i Van de Kerkhof diventano incontenibili e trascinano avanti il PSV, anche se Edstrom è in giornata-no, ben controllato da Piazza; la partita termina 1-0, un buon risultato che però non può lasciare tranquilla la squadra di Herbin. Al ritorno il PSV si presenta caricatoda una prestigiosa vittoria in casa dell’Ajax, lo stadio è strapieno, ma dopo 4 minuti Rocheteau va in gol, annullato (forse ingiustamente) dall’arbitro per fuorigioco; il PSV attacca ma i Verts interpretano magistralmente la partita sul piano tattico (in particolare per quanto riguarda il fuorigioco) senza nemmeno doversi difendere “à l’italienne”, dopo un’ora di gioco si infortuna seriamente Rocheteau alla coscia limitando le possibilità di contropiede per i Verts, ma questa è veramente “la” partita di Yvan Curkovic, che compie autentici miracoli salvando ripetutamente la propria porta, soprattutto nel finale su un tiro destinato all’incrocio di Renè Van de Kerkhof e sul corner successivo, su un colpo di testa ravvicinato di Peter Dahlqvist, con una parata che ricorda quella di Banks su Pelè. La partita finisce a reti inviolate e diciotto anni dopo il mitico Stade Reims di Kopa e Fontaine una squadra francese raggiunge la finale di Coppa dei Campioni. Al ritorno in Francia accade però una tragedia, il piccolo Fokker che riporta, alle 3 del mattino, i Verts a Saint-Etienne è preso d’assalto dai tifosi in delirio; prima che sia ancora fermo un tifoso si avvicina troppo all’aereo e viene colpito da un’elica che lo uccide all’istante; i giocatori sono sconvolti, così come Herbin, che tuttavia non tradisce il suo comportamento da sfinge davanti alla stampa che lo accusa di insensibilità; ora Herbin è “vincente”, di conseguenza inattaccabile, ma appena arriveranno le difficoltà i giornalisti non mancheranno di rinfacciarglielo. La finale è programmata per il 12 maggio 1976all’ Hampden Park di Glasgow, lo stadio del Celtic. Quell’anno il Saint-Etienne ha già giocato a Glasgow, ma ad Ibrox Park, casa dei Rangers, vincendo per 2 a 1 e disputando una splendida partita; quel giorno solo Rocheteau ha notato una cosa piuttosto curiosa, anche se non vi ha dato molto peso: i pali delle porte sui campi scozzesi sono a sezione quadrata, a differenza di tutto il resto d’Europa dove, anche per motivi di sicurezza, i pali e la traversa sono rotondi; sembra un dettaglio minimo, ma questi “poteaux carrès” influenzeranno in maniera determinante l’albo d’oro della Coppa dei Campioni, e di conseguenza, tutta la storia del calcio francese e non.
Per il terzo anno di fila alla finale arrivano i fortissimi tedeschi del Bayern Monaco, in cui militano il “Kaiser” Franz Beckenbauer, Sepp Maier, Gerd Muller e un giovanissimo talento di nome Karl-Heinz Rummenigge; con un percorso senz’altro meno impegnativo di quello dei Verts, i campioni in carica hanno eliminato nell’ordine la Jeunesse d’Esch, il Malmo FF, il Benfica (con 5 gol) nei quarti ed il Real Madrid di Breitner e Netzer (ma anche Amancio, Del Bosque, Santillana, Pirri e Camacho) in semifinale con tre gol di Gerd Muller. La grande esperienza del Kaiser e dei suoi compagni li porta a non sottovalutare il Saint-Etienne, anche se purtroppo per i Verts durante l’ultimo incontro di campionato a Nimes si sono infortunati Farison e la “formica” Christian Synaeghel, cosicchè Herbin, che peraltro non sa ancora se potrà disporre di Dominique Rocheteau, è costretto a sostituirli rispettivamente con Repellini e Jacques Santini. 12 Maggio 1976, Hampden Park è completamente ricoperto di Verde, sono oltre trentamila i tifosi giunti in Scozia da ogni angolo della Francia con ogni mezzo per vedere la finale della squadra amata da tutta una nazione; Rocheteau alla fine non ce la fa, gioca al suo posto Sarramagna. Il Saint-Etienne parte all’attacco, il Bayern, squadra esperta, si difende con ordine aspettando il momento di colpire; Bathenay e Santini ci provano senza fortuna dalla lunga distanza, e a metà del primo tempo ancora Bathenay salta di forza Uli Hoeness e Kappelmann scaricando un siluro da 25 metri. Maier è battuto, ma la palla rimbalza sulla parte bassa della traversa quadrata e quindi sul terreno di gioco; Schwarzenbeck si dimentica Hervè Revelli ma il centravanti francese, tradito dal rimbalzo anomalo del pallone sulla traversa, e forse non accortosi di essere completamente solo, non riesce a colpire bene di testa e consegna letteralmente la palla in braccio a Maier, da 2 metri. Il Bayern reagisce con l’unica vera azione del primo tempo, una staffilata di Hoeness (pescato da un lancio di esterno strepitoso del Kaiser) da posizione decentrata che Curkovic para miracolosamente in due tempi sulla linea di porta, ma è il Saint-Etienne ad attaccare con grande forza e continuità: al 40′ Oswaldo Piazza si trascina dietro tutto il centrocampo del Bayern, apre sulla sinistra per Christian Sarramagna che si beve Hansen, va sul fondo e crossa teso, in anticipo sul primo palo arriva Jacques Santini a volo d’angelo, l’impatto di testa con il pallone è perfetto, Maier è una statua di sale ma di nuovo la parte bassa della traversa quadrata respinge un gol già fatto per il Saint-Etienne, per la disperazione dei numerosissimi tifosi verts. C’è ancora tempo per una punizione di Sarramagna che termina sull’esterno della rete e finisce un primo tempo nel quale il Saint-Etienne ha dominato il Bayern, ma nel quale il risultato è ancora di parità; è molto probabile che il Saint-Etienne sarebbe in vantaggio di due gol, se solo si fosse giocato in un altro stadio, con altri pali… Il secondo tempo inizia ancora con i Verts all’attacco, Patrick Revelli accelera sulla fascia destra e crossa forte in area, Sarramagna in tuffo di testa sfiora il palo. Il Bayern è alle corde, sembra possa capitolare da un momento all’altro ma la Dea Fortuna proprio non vuole aiutare i Francesi; al 57′ Beckenbauer verticalizza per Gerd Muller: spalle alla porta, sfiorato da Oswaldo Piazza, il barbuto centravanti si lascia cadere (in Italia direbbero che è stato bravo a cercare il contatto), inducendo all’errore l’arbitro ungherese Karoly Palotai che fischia punizione dal limite; le veementi proteste dei giocatori in maglia verde non servono a nulla se non a ritardare il posizionamento della barriera, Beckenbauer tocca rapidamente per Franz “Stier” Roth che scarica un tiro potentissimo alle spalle dell’incolpevole Curkovic e porta in vantaggio i Bavaresi (mentre Larquè sta ancora guardando col braccio alzato il proprio portiere per posizionarsi). Il Bayern ora si difende meglio, Beckenbauer fa il libero e il regista, ovviamente benissimo, e ai generosi Verts sembra mancare qualcosa per incidere, sicuramente mancano Dominique Rocheteau e le sue giocate di classe e fantasia.
L’ “ange vert” è ancora in panchina e non si sa se potrà entrare a dare una mano; finalmente a 8 minuti dalla fine Herbin si gioca il tutto per tutto e lo manda in campo al posto di Sarramagna. Il pubblico si carica e si esalta; questi “huit minutes de bonheur” di Rocheteau entreranno nella storia del calcio francese come i sei minuti di Rivera nella finale in Messico sono nella storia del calcio italiano; Rocheteau mette da solo (e con una gamba infortunata) a ferro e fuoco la difesa bavarese, nessuno riesce a tenerlo, e allo scadere, dopo aver scartato quattro avversari con una progressione fenomenale, libera Patrick Revelli solo davanti a Maier, Revelli però è stremato e calcia debolmente tra le braccia del portiere l’ultima occasione per il Saint-Etienne. Palotai fischia la fine e il Bayern, grazie all’ esperienza dei suoi migliori giocatori, e soprattutto grazie alla fortuna materializzatasi sotto forma di “poteaux carrès”, vince la terza Coppa dei Campioni di fila; Santini è in lacrime, Piazza corre negli spogliatoi e li distrugge rifiutando di ritirare la medaglia, ma tant’è; l’illusione è finita, il Saint-Etienne ha giocato meglio del Bayern ma non è riuscito a vincere. Al ritorno però tutta la Francia scende in piazza a festeggiare i propri eroi che sfilano sugli Champs Elysées, osannati come vincitori. Il mito romantico dell’epopea dei Verts è arrivato all’apogeo, il Saint-Etienne ha perso l’occasione della vita, ma un altro campionato francese è stato vinto, il che significa che ci sarà ancora un’altra possibilità di vincere la Coppa dei Campioni nella primavera del 1977. Questa volta l’avversario più forte si chiamerà Kop.
L’estate 1976 trascorre con tutti gli scienziati di Francia, dopo elaboratissimi studi di balistica, ad affermare con certezza che il Saint-Etienne avrebbe segnato due gol al Bayern se i pali della porta di Hampden Park fossero stati rotondi anzichè quadrati. Ma l’accoglienza trionfale che hanno ricevuto i Verts sugli Champs Elysées da tutto il popolo, orgoglioso dei suoi campioni sconfitti con onore, non deve però trarre in inganno; qualcosa si è rotto nella macchina perfetta di Herbin. I giornalisti, in trepida attesa di un appiglio per attaccare l’antipatico allenatore, non mancano di accusarlo per ogni errore commesso (dopo, come sempre…), in particolare rinfacciandogli le scelte nella finale (gli 8 minuti di Rocheteau su tutti) nella quale il Saint-Etienne si era comunque dimostrato complessivamente più forte del Bayern. Il campionato 1976-‘77 parte male per i Verts, la prima vittoria arriva solo alla sesta giornata; gli eroi di tutti i francesi sono accolti con gioia in tutti gli stadi, ma gli avversari moltiplicano gli sforzi quando affrontano i vice-campioni d’Europa e spesso in questo inizio di stagione riescono a metterli in difficoltà. Tutto cambia però quando si torna sul palcoscenico preferito da Jean-Michel Larquè e compagni: la Coppa dei Campioni. L’andata del primo turno prevede un viaggio a Sofia, in casa del Levski, una squadra che si potrebbe banalmente definire “coriacea”, tutta corsa, grinta e randellate (attenzione però che all’epoca il calcio bulgaro era in una fase di buon livello); chi ne fa le spese naturalmente sono le preziosissime gambe di Dominique Rocheteau, che esasperato dai continui falli dei difensori ha un accenno di reazione su Mintchev che gli costa il primo (e penultimo) cartellino giallo della sua correttissima carriera. La partita è una vera battaglia,in tribuna c’è Michel Hidalgo, allenatore della nazionale che è venuto nell’enorme stadio del Levski a vedere alcuni dei bulgari che la sua Francia dovrà affrontare nel match di qualificazione per i Mondiali d’Argentina. Il Saint-Etienne ormai è una squadra matura e difende con ordine fino alla fine lo zero a zero arroccandosi intorno agli assi Piazza e Curkovic. Al ritorno i Verts non sono brillanti, si qualificano con un gol “alla Piazza” del difensore argentino, che travolge in mischia avversari (schierati costantemente in 10 in area) e portiere e segna di ginocchio dopo alcuni rimpalli. Negli ottavi c’è la rivincita col PSV Eindhovendi Kees Rijvers. Andata come al solito al Geoffroy Guichard, e ancora un gol di Piazza (questa volta dopo una discesa seguita da un bellissimo uno-due col giovane talento Jean-François Larios) decide la partita. Il ritorno si conclude come l’anno prima a reti inviolate, e questa volta il PSV sembra un pochino rinunciare ad attaccare, tanta è la sfiducia nel pensare di poter segnare alla solidissima difesa verde; la superiorità dei francesi ancora una volta consente di avanzare in Coppa: dalla sera del miracolo contro la Dinamo Kiev di Blokhin sono passate 8 partite, e il Saint-Etienne ha subito una sola rete, anche se purtroppo decisiva, quella del “Toro” Franz Roth, segno che la difesa ormai è una delle migliori d’Europa.
Dopo l’inverno, arrivano i quarti di finale contro una squadra emergente del calcio europeo: il Liverpool di Kevin Keegan. Andata il 22 marzo 1977 a Saint-Etienne, i Verts sono in formazione tipo con Santini al posto di Hervè Revelli, mentre al Liverpool manca la stella Keegan; arbitra l’ungherese Palotai, quello della maledetta finale di Glasgow. Il Liverpool è ben superiore alle precedenti avversarie, e Steve Heighway centra un palo clamoroso su un’azione di contropiede; in realtà è però il Saint-Etienne a fare la partita, creando numerosissime occasioni ed esaltando le qualità del fortissimo portiere Ray Clemence che nega più di un gol fatto ai francesi increduli. A dieci minuti dalla fine però Dominique Bathenay riesce a sfondare con una splendida girata di esterno in mischia su calcio d’angolo, la palla termina proprio sotto la traversa e l’immenso Clemence non può nulla. Tuttavia i tifosi del Saint-Etienne non possono gioire: uno stupido sgambetto di Oswaldo Piazza su Callaghan a centrocampo viene sanzionato con un cartellino giallo dal suo nemico personale Palotai; il fuoriclasse argentino si inginocchia a chiedere perdono ma l’arbitro è inflessibile, a causa di un’altra ammonizione rimediata a Sofia nella prima partita Piazza salterà il difficilissimo ritorno a Liverpool, e questa assenza si rivelerà decisiva. 16 marzo ad Anfield quindi, con Herbinche ripropone la squadra dell’andata con il mediocre Merchadier al posto di Piazza, e Keegan che gioca dal primo minuto al posto dell’elegante interno baffuto Terry McDermott. I giocatori del Saint-Etienne, pronti ad una partita di ordinato contenimento per difendere il prezioso gol non sanno ancora che a Liverpool si gioca contro dodici avversari, perchè la celeberrima curva Kop, un mare di tifosi ondeggianti che cantano per novanta minuti agitando le sciarpe rosse, rende subito l’atmosfera infernale. Prima che i francesi ci capiscano qualcosa Keegan riceve un corner corto sull’angolo e telecomanda un cross che tuttavia sembra troppo lungo; la palla però cade all’improvviso sotto l’incrocio di Curkovic che non riesce ad intervenire ed il Liverpool annulla lo svantaggio dopo soli 2 minuti; il Saint-Etienne allora inizia a giocare e Rocheteau ingaggia una sfida personale con Ray Clemence che risponde da fuoriclasse: la sfida è equilibratissima e stupenda. Il primo tempo termina con i Reds in vantaggio, ma dopo 5 minuti dalla ripresa Dominique Bathenay evita Jimmy Case poco oltre la metà campo, poi impazzisce e da 35 metri spara un missile terra-aria che Clemence non riesce nemmeno a vedere; la Kop è ammutolita per un secondo e leggendaria è l’esultanza del numero 6 verde, che cammina tranquillamente con le braccia al cielo, calmo come un gladiatore romano dopo battaglia vinta in mezzo alla folla urlante; ciò che è importante però è che ora il Saint-Etienne può difendere un vantaggio di due gol. La Kop riprende a incitare i suoi giocatori che attaccano in massa, e in mezzo alla difesa verde si sente terribilmente la mancanza della personalità e del fisico possente di Oswaldo Piazza: passano nove minuti e il Liverpool passa ancora con una percussione centrale di Kennedy, conclusa da un tiro non irresistibile su cui Yvan Curkovic avrebbe potuto forse fare qualcosa di più. La partita è splendida,Rocheteau si inserisce su un pallone mal controllato da Smith ed Emilyn Hughes, lo sottrae ed evita Clemence che con grande mestiere, vistosi saltato dall’ ”ange vert” cade goffamente impedendogli di raggiungere il pallone; l’arbitro Corver però lascia proseguire e non fischia un rigore abbastanza chiaro. Nel frattempo, al posto del centravanti Toshack, è entrato (con un classico numero 12, il calcio inglese di una volta…) David “Supersub” Fairclough, ventenne centravanti dai capelli rossi che aveva l’abitudine di partire dalla panchina e di segnare ogni volta che entrava; anche questa volta Fairclough non si smentisce: mancano 6 minuti alla fine, lo spavaldo Piazza che commenta la partita in tele vede i suoi compagni già in semifinale, Lopez e Janvion sono in vantaggio su una palla lunga ma Fairclough parte deciso, travolge i distratti difensori francesi (che avrebbero potuto se non altro stenderlo) e vola verso la porta sotto la Kop, che accompagna idealmente il suo tiro in fondo al sacco; è il 3-1 finale di una grande serata di Coppa dei Campioni del Liverpool, che due mesi dopo vincerà la sua prima Coppa dei Campioni a Roma contro il Borussia Monchengladbach: Supersub è l’eroe della serata.
Per il Saint-Etienne quella partita con il Liverpool, forse la migliore mai giocata dalla squadra di Herbin, è il canto del cigno; il campionato terminerà in modo anonimo per i Verts, nonostante l’importante vittoria in Coppa di Francia; di questa coppa, vinta in finale contro lo Stade Reims, rimane nella storia la semifinale di ritorno contro gli storici rivali del Nantes, che all’andata in casa avevano vinto 3-0; é una delle grandi notti del Geoffroy Guichard, i Verts fanno tre gol, portano la partita ai supplementari ma sono gelati da una punizione magistrale di Henri Michel; di nuovo un gol dei Verts e poi all’ultimo secondo, Hervè Revelli di testa, quasi senza accorgersi, infila Bertrand-Demanes per il decisivo 5-1 finale. In Coppa delle Coppe già al primo turno c’è Manchester United: in casa all’andata finisce 1-1 ma ci sono incidenti in tribuna causati dagli inglesi (con un morto); il ritorno (dopo che si è parlato di eliminazione a tavolino per gli inglesi) si gioca a Plymouth e finisce con un 2-0 secco per i Red Devils. Purtroppo Herbin inzia a litigare con diversi giocatori: Larquè se n’è già andato al PSG non senza polemiche (lo seguiranno Bathenay e Rocheteau un paio d’anni dopo, ma non saranno i soli a partire), e la politica dei giovani tanto cara a Rocher e Garronaire (ultime scoperte la mezzala Larios e gli attaccanti Zimako e Roussey) lascia spazio ad un mercato di grandi, e costosi, nomi come Lacombe, Johnny Rep e soprattutto Michel Platini (estate 1979) che una piazza tutto sommato modesta come Saint-Etienne non si può però permettere. Proprio con il 24enne Platini il Saint-Etienne inizia la Coppa Uefa 1979-‘80; una tripletta di Rep regola il Widzew Lodz del giovane Boniek, mentre al secondo turno il “solito” PSV Eindhoven vince in casa per 2-0 la gara di andata; incredibilmente però il risultato viene ribaltato con tre gol nei primi 5 minuti (Larios, Platini e Santini), e la partita finisce in goleada 6-0. Negli ottavi l’Aris Salonicco viene liquidato in casa facilmente ma nei quarti il Borussia Monchengladbach del diciannovenne Lothar Matthaus si abbatte come un tornado sul Geoffroy Guichard segnando 4 gol già nel primo tempo. L’ultimo sussulto della squadra di Herbin, che dei tempi d’oro ha mantenuto i soli Janvion, Lopez e Santini, è la vittoria del campionato 1980-81; quell’anno in Coppa Uefa ai Verts riesce un clamoroso exploit in casa dell’Amburgo (0-5) ma vengono eliminati poco dopo dai futuri vincitori dell Ipswich Town di John Wark (1-4 in casa). La Coppa Campioni 1981-‘82 finisce subito al primo turno contro la Dinamo Berlino, e qui la l’epopea si interrompe: in maggio Platini viene ceduto alla Juventus e poco tempo dopo la squadra si sfalda (Herbin lascia nel gennaio 1983), complice anche un’accusa per fondi neri a Rocher che porterà il Saint-Etienne alla retrocessione in seconda divisione; da questo momento i Verts cessano di essere una squadra di primo livello sul palcoscenico calcistico francese ed europeo. Termina così la grande avventura di una delle squadre più affascinanti della storia, che solo la sfortuna ha tenuto fuori dall’albo d’oro delle coppe; noi siamo però convinti che l’eredità lasciata, sia dal punto di vista tattico, con le geniali innovazioni portate da Herbin, che dal punto di vista delle impagabili ed irripetibili emozioni regalate ai tifosi, collochi di diritto il Saint-Etienne nell’olimpo dei grandi club che hanno fatto la storia del calcio europeo, e Rocheteau, Piazza, Bathenay (ma non solo loro…), nel novero dei più grandi campioni di tutti i tempi.