È il 1872. L’Italia è un paese unito da poco più di dieci anni, negli Stati Uniti viene inaugurato il parco di Yellowstone, il 15 ottobre Giuseppe Perucchetti fonda il corpo degli Alpini. Il mondo così come noi lo conosciamo oggi è ancora lontano, ma in Inghilterra, grazie ad alcuni pionieri che ogni appassionato di calcio, oggi, dovrebbe infinitamente ringraziare, la storia si mette in moto: si gioca la prima edizione della Fa Cup, la più antica competizione calcistica al mondo che ancora si disputi regolarmente. Inizialmente riservata ai dilettanti, dieci anni più tardi, nel 1882, aperta anche ai professionisti, la Fa Cup porta con sè storie incredibili, un carico di fascino senza eguali, un alone di leggenda che nessun altro torneo di calcio può vantare. Storie incredibili determinate anche dal fatto che la Fa Cup, fin dal primo turno, vede scontri diretti a sorteggio integrale senza teste di serie: l’ultima squadra dell’ultimo livello del calcio inglese, insomma, può ritrovarsi ad affrontare i campioni d’Inghilterra. Sistema, questo, che ha regalato nel corso dei decenni storie fantastiche. Storie che il sistema della nostra Coppa Italia ci nega e continuerà a negarci, storie come quella del West Ham, che nella stagione 1979-‘80 – come racconta “Libero Pallone” – dalla seconda serie, mise in fila le grandi del calcio inglese e andò a prendersi la Fa Cup. Certo, il West Ham non è esattamente una Cenerentola del pallone inglese: fondato nel 1895 dal direttore del cantiere navale londinese Thames Ironworks, Arnold Hills, vantava all’inizio della stagione 1979-‘80 due affermazioni in Fa Cup (nel 1964 e nel 1975), una prestigiosa vittoria nella Coppa delle Coppe del 1965 e la Community Shield del 1964. Insomma, pur non essendo esattamente una nobile del pallone d’Oltremanica, il West Ham aveva alle sue spalle una discreta storia: nel 1966 aveva anche fornito alla nazionale dei Tre Leoni tre futuri campioni del mondo come capitan Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peters.
Nel 1979, però, gli Hammers non se la passavano troppo bene. Dopo anni gloriosi (un’altra finale di Coppa delle Coppe giocata e persa contro l’Anderlecht nel 1976), al termine della stagione 1977-‘78 arrivò il ventesimo posto in First Division e la conseguente retrocessione, dopo vent’anni esatti di permanenza nell’Olimpo del pallone inglese. Nella stagione successiva la squadra guidata da John Lyall non andò oltre il quinto posto in Second Division, torneo vinto dal Crystal Palace. Anche nel 1979-‘80 l’obiettivo promozione fu mancato: settimo posto, con la condanna ad un altro anno di purgatorio, il terzo. Un purgatorio che però, in quella stagione che dava il benvenuto agli anni Ottanta, fu addolcito dalla meravigliosa cavalcata in Fa Cup. Una cavalcata iniziata il 5 gennaio 1980, terzo turno di Coppa: il sorteggio accoppia gli Hammers al West Bromwich Albion. L’avventura del West Ham rischia di concludersi sul nascere: già, perchè il WBA guidato in campo da Bryan Robson l’anno prima ha chiuso al terzo posto in First Division, e nella stagione in corso sta lottando nelle posizioni di vertice. E poi si gioca al The Hawtorns: per il West Ham si preannuncia una trasferta proibitiva. Ma a West Bromwich gli Hammers strappano un pareggio (1-1, in rete Stuart Pearson) e rimandano ogni verdetto al replay. Tre giorni dopo, l’8 gennaio 1980, si gioca ad Upton Park: davanti ad oltre 30 mila londinesi infreddoliti il West Ham piega gli ospiti: segnano Trevor Brooking, che farà ancora parlare di sè più avanti in questa storia, e Geoff Pike, finisce 2-1, gli Hammers, un po’ a sorpresa, avanzano. Per il quarto turno il sorteggio riserva ai ragazzi di Lyall una sfida sulla carta più agevole: c’è il Leyton Orient, che arranca nelle zone basse della classifica della Second Division. Il 26 gennaio, in casa dell’Orient, a Brisbane Road, il West Ham soffre, ma alla fine riesce a spuntarla: nel 3-2 finale è decisiva la doppietta del difensore scozzese Ray Stewart. Si va così al quinto turno: ad attendere i claret and blue un’altra sfida abbordabile, contro i gallesi dello Swansea City, che si barcamenano a metà classifica in Second Division, fianco a fianco proprio con gli stessi Hammers.
Il 16 febbraio, ad Upton Park, un secco 2-0 manda avanti il West Ham. David Cross e Paul Allen firmano le reti. A Newham, quartiere di Londra dove il West Ham è nato e cresciuto, inizia a serpeggiare la voglia di tentare l’impresa: in campionato le cose stentano a decollare, la squadra fatica terribilmente a scuotersi dall’anonimato, perchè non cercare il colpo grosso in Fa Cup? Dalle parti di Upton Park si comincia a sognare sottovoce. Per il sesto turno il sorteggio dice Aston Villa. Villans che navigano a metà classifica in First Division, ma che sono squadra dai valori importanti: un anno più tardi, nella stagione 1980-‘81, arriverà per loro addirittura il titolo inglese, il settimo nella storia della società di Birmingham. L’8 marzo del 1980 Upton Park si riempie di quasi 37 mila persone, segno che il popolo di Boleyn Ground ci crede. E ci credono anche gli Hammers che scendono in campo: la differenza di categoria non si vede, anzi, le immagini dell’epoca di “The Big Match”, reperibili facilmente su Youtube, ci resitituiscono un West Ham che domina, padrone assoluto del campo. I filmati ci regalano un Trevor Brooking che sembra arrivare dal futuro: in un calcio che è ancora “kick and run”, il 10 in maglia claret and blue mette giù la palla, smista con ordine, gioca sempre con la testa alta, serve assist in spazi invisibili all’occhio di un calciatore normale, insomma, gioca una partita splendida. Serve però un calcio di rigore a sbloccare la gara: mancano pochi minuti al 90′ e al conseguente replay, su un corner battuto dallo stesso Brooking il numero 4 dei Villans Ormsby tocca con la mano, l’arbitro non ha dubbi. Sul dischetto va Ray Stewart: staffilata ad incrociare, Jimmy Rimmer battuto. Il West Ham è in semifinale, i futuri campioni d’Inghilterra eliminati. In corsa per la vittoria finale rimangono così quattro squadre: Liverpool, Arsenal ed Everton, tutte militanti in First Division, e il West Ham, unica “intrusa”. La Dea Bendata assiste i ragazzi di Lyall nel sorteggio: gli Hammers pescano i Toffees, la più abbordabile delle possibili avversarie. L’Everton è infatti invischiato nella lotta salvezza: ma si sa, in ogni impresa che si rispetti, un pizzico di fortuna è elemento imprescindibile per raggiungere l’obiettivo.
L’appuntamento è per il 12 aprile 1980, si gioca al Villa Park di Birmingham, curiosamente proprio nella tana di quell’Aston Villa eliminato dal West Ham nel turno precedente. La sfida si chiude sul punteggio di 1-1: Pearson segna per i londinesi, Kidd risponde e manda il confronto al replay, che si gioca quattro giorni dopo, il 16 aprile 1980, a Elland Road, Leeds, di fronte a 40 mila spettatori. La sfida è tiratissima: al 90′ il risultato è ancora di pareggio (0-0), ma il regolamento prevede i tempi supplementari. Supplementari che si aprono col botto: Al 94′ Devonshire si accentra da sinistra, scambia con un compagno e penetra tra le maglie della difesa dell’Everton, battendo Hodge e sbloccando il risultato. Al 116′, quando gli Hammers già accarezzano il pensiero della finale di Wembley, la doccia fredda, gelata: cross dalla destra di Wright, Latchford si avvita e con una torsione quasi innaturale, inconcepibile, gira di testa verso la porta difesa da Parkes. Gol, 1-1, si va verso un altro replay: il regolamento, infatti, non prevede calci di rigore. Ma in campo c’è qualcuno che la pensa diversamente,c’è qualcuno che di giocarsi un secondo replay non ne ha la benchè minima intenzione. Minuto 118, due giri di lancette alla fine: traversone di Brooking dalla destra. Palla messa dentro alla disperata, palla che sembra facile preda della difesa Toffee. Inspiegabilmente, però, Pearson viene lasciato libero di fare da torre, la sfera entra nei radar di Frank Lampard Senior (il cui figlio di strada nel calcio inglese ne farà “abbastanza”, vent’anni più tardi): il numero 2 Hammer si getta sul pallone come un avvoltoio, colpendolo di testa. Palla lenta, lentissima, che viaggia verso l’angolino. Palo. Niente da fare, si va al secondo replay. No. Palo-gol. Quella palla, lenta, lentissima, sbatte sul montante e finisce nel sacco: Lampard impazzisce, corre verso la bandierina e inizia a ballarci intorno. Gioia incontenibile. La parte londinese di Elland Road esplode, esplodono gli Hammers in campo: è finale, si va a Wembley, l’impresa è a un passo.
Nell’altra semifinale, quella “nobile”, tra Liverpool e Arsenal, c’è bisogno di addirittura tre replay: dopo quattro partite, di cui tre finite in parità, Talbot, all’Highfield Road di Coventry, segna la rete decisiva nell’1-0 che manda in finale i Gunners. Sarà West Ham-Arsenal la finale della Fa Cup 1979-‘80: una squadra di Seconda Divisione contro una formazione che lotta per il titolo inglese, una formazione che schiera giocatori di livello internazionale come Pat Jennings, Pat Rice e Liam Brady. Non dovrebbe esserci partita, almeno sulla carta. Ma qui si parla di Fa Cup, della competizione calcistica più antica del pianeta: il fascino e le storie stupefacenti sono parte integrante di questa manifestazione. Di scontato, nella Fa Cup, non c’è nulla.
Il giorno della finale, il 10 maggio 1980, 100 mila persone raggiungono Wembley. La finale di Fa Cup, per ogni inglese che si rispetti, è un rito, un vero e proprio momento di culto popolare, più che una semplice partita di calcio. Non manca nessuno: c’è anche il Duca di Kent, che saluta le squadre dopo l’inno nazionale e batte il calcio d’inizio. È una splendida giornata di sole: il clima è diametralmente opposto a quello tradizionalmente definito come “inglese”. Sembra un presagio: il Signore manda in terra una giornata che per Londra è quasi sorprendente, come ad annunciare un altro evento stupefacente che andrà in scena sul prato di Wembley. Quel giorno, a prendere in mano la penna e scrivere un finale diverso da quello pronosticato, diverso da quello che tutti si aspettano, è Trevor Brooking: è lui, il numero 10 del West Ham, che ha trascinato gli Hammers fino a Wembley con giocate di classe ed assist illuminanti, l’uomo scelto dal destino. Lui, che con 636 caps e 102 reti rappresenta un pezzo consistente della storia del West Ham, lui che nel 2003 sarà inserito dai tifosi nel Dream Team della storia del club, al fianco di mostri sacri come Bobby Moore e Geoff Hurst. La storia, che tutti credono avviata ad una vittoria dei favoritissimi Gunners, svolta al minuto 13 della finalissima di Wembley.
Devonshire sfonda sulla sinistra e va sul fondo, il suo traversone spiove sul secondo palo, dove David Cross colpisce a botta sicura, trovando però la respinta di Jennings. Pearson ribadisce verso la porta, ma colpisce male, malissimo. Quella palla, se lasciata scorrere, finirebbe probabilmente in fallo laterale. Ma è qui che il destino ci mette lo zampino e poggia la sua mano sulla spalla di Trevor Brooking. Quella palla sparacchiata in malomodo da Pearson finisce proprio sulla testa del numero 10, che d’istinto gira verso la porta. Jennings, questa volta, non può arrivarci. Brooking, che di testa la palla la colpiva raramente: “Quello è stato l’unico colpo di testa della sua carriera” commenterà qualcuno. È gol, il West Ham è in vantaggio contro l’Arsenal, Davide ha sferrato a Golia uno schiaffo in pieno volto. Quel Golia Gunner che andrà al tappeto, senza più riuscire a rialzarsi.
Finirà così, quella finale di Fa Cup del 1980. Il gol di Brooking risulterà decisivo: migliaia di tifosi Hammers, improvvisamente, dal Purgatorio della Second Division nel quale erano intrappolati da due anni, si ritroveranno catapultati in Paradiso, le strade della East London si tingono di claret and blue, i ragazzi di John Lyall hanno messo in fila le grandi del calcio inglese alzando al cielo la coppa più antica della storia del pallone. L’anno successivo, poi, arriverà anche la promozione, con il ritorno in First Division. Certo, direte voi, ci sono state imprese ben più sensazionali di questa, ci sono state cavalcate ancor più sorprendenti, che hanno stravolto pronostici ancor più avversi battendo avversari ancor più forti e favoriti. C’è stato il Calais arrivato in finale di Coppa di Francia nel 2000, c’è stata la Grecia campione d’Europa nel 2004, c’è stato il Leicester, campione d’Inghilterra con l’italiano Claudio Ranieri alla guida. Tutto vero, tutto giusto. Ma per rendere l’idea della portata dell’impresa centrata dagli Hammers nel 1980 basta snocciolare un semplicissimo dato: gli Irons guidati da Lyall restano ad oggi l’ultima squadra non militante in First Division (poi diventata Premier League) ad aver alzato al cielo la Fa Cup. E per questo, anche se qualcuno si è spinto addirittura oltre, i ragazzi dell’80, per ogni tifoso del West Ham, restano leggenda.