Beitar Gerusalemme, la tifoseria più accesa ed estremista (di destra)
Feb 6, 2021
Le bandiere giallonere del Beitar Gerusalemme con quelle di Israele

Il club con la tifoseria più razzista del mondo ha deciso di imprimere una svolta politica: «Zero tolleranza al razzismo». Parliamo del Beitar Gerusalemme, una delle società più gloriose d’Israele con 6 titoli e 12 coppe nazionali con la tifoseria più accesa ed estremista (di destra) – il gruppo La Familia – che si vanta di essere l’unico club del Paese a non avere mai avuto giocatori di origine araba e palestinese in rosa.

Lo Stadio YMCA di Gerusalemme, storico impianto sportivo del Beitar, negli anni Trenta

Ma da un paio d’anni, come racconta “La Gazzetta dello Sport”, qualcosa è cambiato: il nuovo proprietario Moshe Hogeg ha deciso di mettere fine a questi sentimenti islamofobi e antimusulmani: “La mia reazione al razzismo non sarà proporzionata, di più: al primo canto o commento razzista vi cito in tribunale per un milione di dollari”, ha avvisato gli ultrà gialloneri.

Hogeg, imprenditore del settore tecnologico con la società Stox e nel real estate a Tel Aviv, ma anche uomo chiacchierato e citato in giudizio per i suoi business a volte fallimentari (e in affari in passato anche con Leonardo Di Caprio, Lance Armstrong e Carlos Slim), è al comando del Beitar dall’agosto 2018. Ha speso circa 7 milioni di euro, di cui 5 consegnati all’ex proprietario Eli Tabib, il resto per ripianare i debiti.

Il proprietario del Beitar Moshe Hogeg

Non è solo questione di immagine e reputazione. Spesso il club è stato oggetto di multe, anche a livello internazionale, per i cori dei suoi tifosi. “Non sono uno dei loro genitori, né li voglio educare – ha detto Hogeg -, ma non posso sopportare che le loro azioni abbiano conseguenze negative per il club e tutta la nostra nazione”. E per rendere ancora più chiaro il concetto, ha acquistato dal Maccabi Netanya un giocatore del Niger, Ali Mohamed, 24 anni, centrocampista offensivo, per 1,5 milioni di euro, diventato presto uno dei top player del team. Anche se cristiano, certo il nome non deve essere piaciuto a quelli della Familia. Che addirittura hanno chiesto a Mohamed appena arrivato di cambiare il suo nome all’anagrafe.

Ali Mohamed

Certo, non è come prendere in squadra un arabo o un palestinese, ma il cambio è stato notato. “Al momento pare in atto una tregua con la Familia – ha detto il sociologo Yair Galily -. Ma gli ultrà sono imprevedibili”. Qualcuno che amava intonare i cori come “Per sempre puri”, ”Morte agli arabi”, “Li seppelliremo tutti” o “Eliminare i palestinesi mi emoziona”, non sembra ancora domato: “Se Hogeg pensa di dirmi come vivere e pensare commette un grosso errore”, spiega un fan giallonero. Per il Beitar tifa tutta la destra israeliana – dall’ultimo primo ministro Netanyahu e il suo partito, il Likud, ad Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beiteinu, altro gruppo politico nazionalista sionista -, ma ora le cose sembrano essere migliorate con la svolta.

Eli Ohana, la stella di tutti i tempi

Nuovi sponsor si sono avvicinati al club e al Teddy Kollek Stadium, prima della pandemia, sono tornate le famiglie, quelle con la f minuscola, che avevano abbandonato l’impianto da 30 mila posti (ma nemmeno 10 mila gli spettatori abituali), proprio per l’intransigenza razzista della Familia. Inoltre negli ultimi tempi si sono contati solo due episodi razzisti. Non si sa ancora se sia una tregua o se il vento è davvero cambiato. Intanto, è un passo avanti. Qualche anno fa, quando il Beitar provò ad acquistare due ceceni di fede musulmana – Sadayev e Kadiyev – , la Familia bruciò la sede del club.

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