Rimpianti? “Di aver giocato poco nella Juve”
Gen 10, 2021

Massimo Storgato (Torino, 3 giugno 1961) . Stopper cresciuto nella Juventus, visse le prime esperienze da titolare in serie B con l’Atalanta e in serie A con Cesena e Verona. Nel 1984 fu ingaggiato dalla Lazio, che retrocesse però al termine del campionato. Storgato vestì successivamente la maglia dell’Udinese per quattro stagioni consecutive (con l’eccezione di alcuni mesi all’Avellino durante il campionato del 1988), nel corso delle quali la squadra dapprima retrocesse e, poi, riottenne la promozione in A al termine del campionato 1988-‘89. Successivamente Storgato giocò con Cosenza (in serie B), Alessandria e Pro Vercelli, con cui vinse lo scudetto dei Dilettanti al termine del campionato di 1993-‘94, conclusosi con la promozione in serie C2. Successivamente ha intrapreso la carriera di allenatore con la squadra Allievi della Juventus, con la quale ha vinto uno scudetto nel 2006. Ha poi allenato anche il Canavese in serie C2, il Pizzighettone e il Chieri in serie D. Nella stagione 2012-‘13 è stato alla guida della formazione Primavera del Modena, l’anno dopo di quella del Padova.

Storgato in bianconero

Madonna di Campagna si chiamava così perché c’era la campagna. Adesso la campagna non c’ è più, così Massimo Storgato è andato a cercare quella della sua giovinezza ad Avigliana. «Una volta i torinesi ci venivano a passeggiare sul lago, con il gelato. A Udine la svolta: acquistai una villetta con giardino e capii l’importanza del verde». Il Veneto era ancora una regione d’ emigranti e non di piccoli-grandi industriali. Di «sghei» ce ne sono pochi e le famiglie del padre (10 fratelli) e della madre (5) di Storgato sistabiliscono a Casale Monferrato. Poi, quando arriva il «posto» alla Fiat, Mariano Storgato va a Torino con la moglie Apollonia e il figlio. Sono gli anni del boom, la Fiat mette il Paese su quattro ruote e papà Mariano mette i blocchi di acciaio negli altoforni, dopo averli sollevati con la sua gru. «Tornava a casa che sembrava reduce da una sauna». Massimo va in bici con suo padre per i campi. Poi si fermano e via con i palleggi. «Per non giocare sempre da solo, mio padre mi portò all’ oratorio di Don Orione alle Vallette». L’ oratorio, anche per Storgato, non è solo un campo da calcio, ma anche un luogo di incontro. Massimo incrocia sua moglie Manuela.

«Si facevano gli incontri e, d’ estate, si andava in vacanza in montagna, a Salice d’Ulzio». Il primo amore. Anzi i primi amori. Perché la signora Manuela si abitua subito a dividere Massimo col calcio. «Mi sono sposato lo stesso giorno di Prandelli. L’indomani cominciava una tournée negli Stati Uniti. Dovevano venire anche le mogli e invece le lasciarono giù. Mia moglie me lo rinfaccia ancora». Storgato parte centravanti. «Segnavo 8, 10 gol a partita. Andai a fare un provino da Pedrale». Pedrale è una specie di istituzione. Riceve gli aspiranti bianconeri tutti i sabati al «Combi». «Io ci andai con la maglia di Rivera. Ero milanista». Pedrale lo esamina e pronuncia il suo verdetto: “Torna il prossimo sabato“. «Tornai per un mese e mezzo e alla fine mi presero. I miei genitori fecero tanti sacrifici. Ricordo ancora quando mio padre mi comprò le prime scarpe da calcio “Magrini” in una bottega di corso Regina. C’erano ancora i tacchetti che si infilavano nel blocco di legno».

Storgato (secondo da sinistra) festeggia con i compagni juventini la conquista della Coppa Italia del 1983

È un’ Italia che si può permettere qualcosa in più di quella precedente, però, intuisce sempre nel calcio la stessa possibilità di riscatto sociale. «Prendevo il 10 con mia madre e un panino per andare al campo. Stavamo ore e ore davanti a un muro a fare tecnica con “Martello” Pedrale». Arrivano le prime soddisfazioni: «Vincemmo un torneo internazionale: Boniperti ci ricevette in sede e ci consegnò una medaglia: eravamo quelli del “mitico 61”».

Sacrifici, privazioni, soprattutto degli svaghi dei ragazzi («ma non sono mai stato un tipo da discoteca»), il diploma arenato al quarto anno dell’istituto per geometri. Storgato avanza in carriera, arretrando nel ruolo: da attaccante a terzino. Dopo un soggiorno a Bergamo, torna per esordire («con la maglia blu») in serie A: Ascoli-Juve 0-0, 19 ottobre 1980. Alla fine colleziona uno scudetto e tante lezioni di calcio: «Trap era pieno di vitalità. Stava tanto tempo con Brady a spiegargli come fare ginnastica e poi, nella partitella, gli si incollava addosso per prepararlo alle marcature». Un anno via, a Cesena, poi il ritorno alla Casa Madre, nella stagione 1982-‘83, quella della Coppa Italia e della Coppa Campioni perduta ad Atene con l’Amburgo. 

«Brio aveva la pubalgia e io ero in pre-allarme. Trap mi fece allenare tutta la settimana per bloccare Hrubesch: avrò fatto 10 mila colpi di testa. Poi mise Brio. Perse anche il derby per far giocare Brio. Ma allora unallenatore aveva molte remore a schierare un giovane».

Sei anni di prestiti e una fregatura nel 1984. «Avevo fatto un anno straordinario a Verona da centrocampista avanzato. Bagnoli era speciale: non ho mai sentito un giocatore escluso parlare male di lui». Bagnoli lo vuole, ma le società litigano. Si va alle buste: per mille lire Storgato perde il secondo scudetto della sua vita. Comincia a peregrinare: Lazio, Avellino («esperienza traumatizzante: facemmo sei mesi di ritiro»), Cosenza, ed in mezzo tanta Udinese. «A Udine comprai casa. Volevo fermarmi, ma i Pozzo dopo quattro anni mi mollarono senza contratto. Capii che il calcio stava cambiando e, io che avevo sempre fatto da solo, mi cercai un procuratore. Penso questo: se sei bravo non hai problemi, ma se sei così così un procuratore giusto aiuta».

Storgato (a destra) all’Udinese nel 1989, in lotta per la palla con il padovano Simonini

Gli ultimi anni sono piemontesi. Prima all’Alessandria: «Andai a prostituirmi offrendo una specie di contratto a rendimento in anticipo sui tempi: se ci salviamo mi pagate. Feci 18 partite e ci salvammo, ma per i soldi dovetti avviare una vertenza». Colpo di coda alla Pro Vercelli: «Conquistammo la promozione in C2, quattro anni bellissimi».

Storgato nell’Alessandria

Finale di partita a Ivrea, alla San Giustese. «Un calciatore, quando smette muore due volte: come calciatore e come uomo. Devi reinventare tutto, ricominciare daccapo. Quando guadagnavo bene spendevo il giusto. Così ora posso permettermi qualche anno senza lavorare. Rimpianti? Di aver giocato poco nella Juve e di non aver timbrato almeno una presenza in Nazionale».

Bibliografia: Roberto Perrone, “Massimo Storgato: un milanista alla Juve”, Storie di Calcio

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