Nello spazio di un anno, meno qualche giorno, tra il giugno del 1973 e il maggio 1974, l’Alessandria riuscì in due imprese che avrebbero fatto storia: la vittoria della prima Coppa Italia per semiprofessionisti prima e la promozione in serie B, poi. Due vittorie prestigiose, pur in situazioni diverse e con squadre completamente differenti per credo tattico e filosofia di gruppo. La prima, ottenuta in un venerdì di inizio estate, al termine di un campionato tirato ed estenuante, non è stata celebrata come meritava.
Eppure si trattava della prima edizione della Coppa Italia di Serie C. Ad Alessandria la notizia arrivò nella serata, rimbalzando – immagino – dalla telefonata di qualche dirigente presente quel pomeriggio al Flaminio di Roma.
Poche notizie frammentarie nelle prime ore, men che meno che la partita era stata sospesa coi Grigi in vantaggio per l’invasione di campo dei tifosi campani. “Arrivavamo da una stagione straordinaria, con la prima storica promozione in serie B – ci racconta Antonio Bongiorni, quel giorno autore dei due gol avellinesi – Affrontare l’Alessandria era motivo di orgoglio perchè in quel momento sfidare i Grigi era un’occasione per giocarcela contro una grande squadra e poi, vincendo, significava entrare davvero nella storia: dopo la vittoria in campionato, conquistare anche la Coppa sarebbe stata un’impresa davvero epica”.
“Cosa ricordo di quella partita? Grande soddisfazione ma anche un po’di rammarico – ci confida Pippo Marchioro, mister di quei Grigi – Eravamo fortissimi e avremmo potuto vincere tutto, quell’anno. Giocammo una stagione praticamente perfetta e lo smarrimento di metà campionato, che ci costò punti decisivi, io continuo a pensare potesse essere evitato con una posizione meno spigolosa della società in tante questioni gestionali”.
La partita è passata agli annali per il suo finale turbolento, Toni Colombo col naso spaccato da un’entrata avversaria e con l’invasione dei tifosi irpini, imbufaliti con l’arbitro Levrero di Genova, colpevole, secondo loro di errori decisivi. “Di quel pomeriggio, ricordo una gran paura – confessa Franco Vanzini, quel giorno in campo nel primo tempo – Ero già negli spogliatoi e quando capii che stava succedendo qualcosa di strano, non ebbi il coraggio di tornare indietro”. La partita, in realtà fu bellissima; due squadre che giocavamo un calcio innovativo, con due allenatori, Gianmarinaro e Marchioro, decisamente avanti coi tempi.
Lo confermano sia Bongiorni che lo stesso Marchioro ricordano di un finale di stagione in cui la fatica non era un peso e allenarsi era un piacere. “Non sapevamo quasi niente dell’Avellino ma il fatto era relativo; avevamo un’identità di gioco precisa e questo sapevamo che poteva bastarci“, ricorda Marchioro dei giorni precedenti la finale.
E Bongiorni aggiunge: “Eravamo consapevoli della nostra forza e tatticamente non avevamo paura di nessuno…poi l’arbitro…” . Ma chi era lì, e qualche alessandrino tra i 7000 avellinesi c’era, ricorda di un gol di Lorenzetti che con una finta sbilanciò l’intesa difesa avellinese e poi punto versò la porta ingannando gli avversari ma non l’arbitro. “Se facemmo festa? – chiede Vanzini – . Una cosa contenuta con l’aria che tirava, pensammo ad andarcene veloce”. E sul treno finalmente la festa…“Beh, si qualche risata in più l’abbiamo fatta…”.
Gigi Poggio