“Più che dell’allenatore, il mio ricordo è dell’uomo”. Così Aldo Agroppi inizia la sua chiacchierata con Marco De Rito per Toro News , un po’ commosso, ricordando Gustavo Giagnoni. “Per me era un uomo e un amico importante. Ci siamo sentiti fino all’ultimo”.
Agroppi visse tutta l’era granata di Giagnoni dal 1971 al marzo del 1974 e ci tiene a sottolineare: “L’allenatore è un fatto secondario, perché l’uomo è stato davvero importante. Nel mio ricordo ci sarà sempre la persona”.
Come ricorda il periodo che visse con Giagnoni al Torino?
“Portò una ventata di entusiasmo, portò convinzione. Il suo carattere fu importante. Facemmo un campionato bellissimo, lui era un allenatore che si fece amore immediatamente dai tifosi granata anche per il suo modo di essere. Con quel colbacco è diventato addirittura una leggenda.
Un tecnico formidabile per quello che ha fatto a Torino, poi è stato a Milano, anche a Roma. Dove è andato ha fatto molto bene, era una persona eccezionale ed è triste averlo perso, anche se si sapeva che stava malissimo ma viveva, invece purtroppo ora non c’è più. Dobbiamo farcene una ragione”.
Portò ad una svolta nel Torino dell’epoca?
“Noi venivamo da un anno non molto buono (1970-71, 8° posto in Serie A) c’era molto da ricostruire: motivazioni, entusiasmo… Giagnoni riuscì a ricostruire con il suo modo di fare, era un gladiatore, un lottatore, un allenatore che aveva dei concetti tecnici molto validi.
Tutto questo fece sì che disputammo un campionato bellissimo, si partì con il piede giusto – questo fu importante – e in pratica vincemmo lo scudetto. Noi quell’anno perdemmo due punti, non uno. Tutti ricordano il mio gol annullato contro la Sampdoria ma c’era anche quello di Toschi annullato a Milano. Mister Giagnoni fu determinante con la sua spinta, la sua determinazione, era sempre allegro e positivo. Insomma va ricordato per un allenatore importante ma sopratutto per un grande uomo”.
Mise le basi per il successo dello scudetto del 1976?
“Chiaro. Quando giocammo il primo campionato avevamo già una squadra molto forte, lui dopo due anni andò al Milan. Accettò un’offerta importante, a Milano e fu giusto così. Noi con quella squadra lì, intanto, arrivammo a vincere lo scudetto del 1971-’72, che per me è nostro.
Con il suo modo di essere anti-juventino dichiarato e quel colbacco che portava anche in piena estate divenne un beniamino nel bene e nel male: è una pietra miliare nella storia del Torino”.
A proposito del colbacco, ci sono tanti aneddoti legati a Giagnoni. Quale le fa piacere ricordare?
“Proprio quello del colbacco. Glielo regalarono i tifosi, alla fine di un derby vinto. Lui non se l’è più tolto, nemmeno d’estate. Mi ricordo una scena in una partita vincemmo, mi sembra proprio contro la Juventus. Al termine tutti gli saltammo adesso perché avevamo vinto un match importante, gli cadde il colbacco e lui lo cercò in mezzo alla gente, aveva paura che glielo portassero via. Alla fine è stato proprio definito l’uomo del colbacco. Oggi purtroppo non lo porta più ma noi gli dobbiamo tanto di cappello”.
Nelle mente dei tifosi granata resterà per sempre impresso quel pugno a Causio….
“Io non me ne accorsi, altrimenti gli avrei dato una mano! Quelli erano derby sentiti, derby veri. C’erano ammonizioni, scontri, offese anche se non erano blasfeme come quelle di oggi.
Oggi si leggono offese ai morti di Superga o di Heysel, io quei tifosi non li vorrei mai avere. E’ chiaro che quel pugno simboleggiò un po’ la rivincita del proletariato. E per questo divenne un beniamino”.