La sera di mercoledì 6 maggio 2015 ero presente nella chiesa al Santo di Thiene in occasione di un’omelia particolare. Don Marco Pozza, assistente spirituale nel carcere “Due Palazzi” di Padova e vulcanico teologo, ha davvero incantato i fedeli riuniti in una chiesa stracolma. Il tema della serata verteva sullo sport visto come palestra di vita più che il mezzo per la ricerca del successo individuale fine a se stesso. Ai numerosi ragazzi presenti, “Don Spritz”, com’è denominato il giovane presbitero, ha sottolineato che dal sacrificio, dall’impegno continuo, dall’allenamento serio, ma anche dalla sconfitta, inizia il lungo percorso per raggiungere l’obiettivo agognato.
Con un’eloquenza spirituale che mai mi era capitata di sentire, senza soluzione di continuità, il dinamico sacerdote ha spaziato a tutto campo con le sue puntuali riflessioni, ringraziando sul finale del secondo tempo gli allenatori e gli insegnanti che ogni santo giorno infondono nei ragazzi l’amore per l’attività formativa. Alla serata ha partecipato anche un testimonial d’eccezione: l’indimenticabile bomber biancorosso Antonio (Toto) Rondon, il quale come allenatore del settore giovanile del Marano di quella stagione (oggi è al Lanerossi Vicenza Virtus) ha affermato, senza illudere alcuno, che se e vero che nel calcio solo uno su diecimila diventa professionista, lo scopo vero dello sport e degli allenatori è prendere per mano i ragazzi per farli diventare uomini.
Il ritorno ai “buoni maestri” dunque: quelli che avevamo anche ai nostri tempi. Riflettendo, dopo aver ascoltato con grande interesse i due interlocutori, sono ritornato con la mente all’incontro con un amico sul campo illuminato che sta dietro alla chiesa del Santo proprio prima che iniziasse l’evento. Mi ero trattenuto in quel familiare sito per salutare Angelo Rizzi, allenatore locale che aveva di fresco appena contribuito a portare la squadra del “A.S.D. Rino Toniolo” alla promozione.
In campo c’erano tutti i ragazzi della squadra impegnati in una partitella. Gli ho fatto i complimenti per il risultato ottenuto, affermando, con cognizione di causa, che la vecchia scuola della Bandiera del Lane, Giulio Savoini, dà sempre i suoi buoni frutti. Lui mi ha ringraziato compiaciuto, senza mai staccare gli occhi dai suoi ragazzi. Poi l’ho salutato dicendogli che andavo in chiesa a sentire la predica sportiva. Lui mi ha sorriso annuendo e replicando che sarebbe venuto volentieri ad ascoltare l’omelia di “Don Spritz” e Toto Rondon, ma che l’allenamento troppo importante era quello preparatorio per la finale della domenica valida per il titolo provinciale.
Insomma, l’agognato nuovo obiettivo da raggiungere. Mentre lo osservavo pensavo a come gli anni ci hanno cambiato nell’aspetto fisico, forse anche in quello morale. Diversamente da me, però, ho trovato in lui, con piacere, che gli è rimasta ancora dentro quell’integrità gioiosa del ragazzo innamorato del calcio fine a se stesso che da trent’anni si mette in gioco per allenare un’ennesima generazione.
Ed è stato lì, uscendo dal quel rettangolo verde, che ho ricordato a me stesso com’era nata sul terreno di gioco, in maniera un po’ bizzarra causata da un calcio di rigore fatale, un’amicizia che dura da più di mezzo secolo.
Allora eravamo adolescenti avversari, schierati sul campo di calcio che stava dietro la chiesa di San Vitale a Castelnovo in una solare domenica mattina che profumava di mosto; eravamo due testardi capitani adolescenti con tanti sogni nel cassetto e al nostro fianco avevamo dei “buoni maestri”. Sono contento che la tradizione continui con Angelo, perché mercoledì sera sul campo illuminato a giorno dietro alla chiesa del Santo ho rivisto in lui semplicemente un sognatore che non si arrende mai.
Giuseppe (Joe) Bonato