I pensieri di Mihajlovic
Dic 17, 2023

“Sinisa, se tutti i serbi fossero come te, ci sarebbero meno problemi su questa terra”. Slobodan Milosevic adorava Mihajlovic, tanto da custodire in un cassetto una maglia del difensore, ai tempi dell’amata Stella Rossa.

Agli inizi della carriera, nel Vojvodina

Adem Ljajic , invece, si porta dentro l’anima un parere sicuramente opposto a quello dell’ex presidente, vista la querelle su quell’inno che lui proprio non vuol cantare perchè, effettivamente, non gli appartiene. Il romanista, nativo di Novi Pazar, fa parte del popolo di etnia bosniaca che si è convertito all’Islam durante l’occupazione ottomana.

Nella stella Rossa di Belgrado

Il 12 maggio 2012, prima dell’amichevole con la Spagna, le labbra serrate di  Ljajic non piacquero per niente a Mihajlovic e non lo mandò a dire, escludendolo dal giro della nazionale perchè “quando s’indossa questa maglia ci sono dei principi da rispettare”.

Mihajlović (in basso a sinistra) festeggia con i compagni della Stella Rossa la vittoria della Coppa dei Campioni 1990-’91

Quelli dell’orgoglio nazionalista. Eccezion fatta per un piede sinistro che mette tutti d’accordo, l’ex Ct della Serbia spacca da sempre tifosi e addetti ai lavori: il giudizio favorevole su Milosevic, il rapporto con Arkan (“gli amici non li rinnego, né tradisco”) e lo striscione all’Olimpico da lui “suggerito”, la rabbia per un inno non cantato.

Mihajlović decide su calcio di punizione, pezzo forte del suo bagaglio tecnico, la sfida tra Sampdoria e Bari (1-0) del 23 novembre 1997

Non solo, quando l’aria nella ex Jugoslavia si era fatta particolarmente cruenta, Mihajlovic – nel dicembre del ’91 – dichiarò di non voler proseguire la disputa del campionato: “I nostri tifosi sono al fronte… Il mio popolo perisce e versa il suo sangue e io come faccio a giocare. Mi sono persino trovato a pensare che è sconveniente continuare a giocare e magari a fare festa in mezzo a tante vittime”.

Lazio-Chelsea di Champions: Mihajlovic sputa a Mutu e poi viene squalificato per otto giornate

Nazionalista nei nervi oltre che nella testa, non ha mai fatto mistero delle sue idee politiche e durante la guerra diceva spesso e volentieri: “Tra noi siamo tutti serbi” anche se nativo di una nazione, l’ex Jugoslavia, abitata da sempre da molteplici etnie. E lo sa bene lo stesso tecnico, nativo di Vukovar, terra nella quale i serbi erano in minoranza.
Accusato di essere fascista, Mihajlovic ha risposto sempre di essere, al limite, nazionalista ma soprattutto un nostalgico del regime. Altro che camicia nera: “Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti”.

Un giovane Mihajlovic con la Tigre Arkan, ai tempi della Stella Rossa

All’allenatore piaceva molto quella vita da bambino e da ragazzo dentro una quiete forzata:

“Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme – dichiarò al Corriere di Bologna qualche anno fa – Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavano a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo”.

Da sinistra: Conceição, Mihajlović e Marcolin festeggiano la vittoria della Lazio nella Supercoppa italiana 1998


Se Mihajlovic ha nostalgia del Muro, da giocatore l’ha sempre nascosta piuttosto bene, quando ogni suo calcio piazzato non s’infrangeva mai sulle barriere, anche perchè le avrebbe fatte a pezzi così come coloro che con un piccone sgretolavano un’ideologia scomparsa a Berlino e in tutta Europa.

Nell’Inter, dove concluse la sua carriera da giocatore

Sinisa si sente comunista anche per l’odio da guerra fredda verso gli Usa:

“Non sopporto gli americani. In Jugoslavia hanno lasciato solo morte e distruzione. Hanno bombardato il mio Paese, ci hanno ridotti a nulla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale avevano aiutato a ricostruire l’Europa, a noi invece non è arrivato niente: prima hanno devastato e poi ci hanno abbandonati. Bambini e animali per anni sono nati con malformazioni genetiche, tutto per le bombe e l’uranio che ci hanno buttato addosso”.
La nostalgia di Tito si estende anche alle funzioni pedagogiche del regime: “Oggi educare un bambino è un’impresa impossibile. Sotto Tito t’insegnavano a studiare, per migliorarti, magari per diventare un medico, un dottore e guadagnare bene per vivere bene, com’era giusto. Oggi lo sapete quanto prende un primario in Serbia? 300 euro al mese e non arriva a sfamare i suoi figli. I bimbi vedono che soldi, donne, benessere li hanno solo i mafiosi: è chiaro che il punto di riferimento diventa quello”.


Ovunque è stato e quando aveva Eriksson come allenatore, si è sempre definito “Il responsabile delle palle inattive”, colui che incarna il concetto letterale di punizione, andando oltre il campo da calcio. Lui è ritornato in Serie A con attributi attivi stavolta. Sta cercando di sconfiggere una malattia tremenda. Ma non dovrebbe essere difficile: in fondo, per Mihajlovic, è sempre guerra.

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