C’erano tutti quel mercoledì pomeriggio perché si inaugurava lo stadio. E poi perché c’era una squadra di serie A. Ma non era un’amichevole, la solita sfilata di campioni che deliziano la platea se ne hanno voglia. Perché la squadra di casa è il Campobasso ed è arrivato agli ottavi di finale di Coppa Italia bloccando il Verona di Briegel ed Elkjaer. E adesso se la gioca con la Juventus. C’erano tutti anche il giorno prima. In tremila fuori dall’albergo della Juve. Aspettando per cinque ore, sopportando prima la pioggia e poi la neve. Anche perché siamo a febbraio e Campobasso è a settecento metri d’altezza.
Ci sono tutti e ci sono Bodini, Favero, Caricola, Bonini, Pioli, Scirea, Briaschi, Prandelli, Vignola, Platini, Boniek. In panchina Trapattoni ha portato Cabrini e Paolo Rossi. Non si sa mai, dovesse servire contro Ciappi, Anzivino, Trevisan, Maestripieri, Progna, Della Pietra, Perrone, Pivotto, Rebonato, Goretti, Ugolotti. Ci sono tutti , fischio d’inizio fissato per le quindici e quindici. Orario insolito al nuovo stadio Romagnoli, come fosse una partita a sé. E ci sono la banda musicale, i fuochi d’artificio, i paracadutisti, gli sbandieratori e Aldo Biscardi per benedire il volo delle colombe. E soprattutto il presidente Molinari, che sembra un maratoneta al traguardo: “Ci vuole pazienza e costanza”. Lui ci ha creduto più di tutti. A quella squadra e a quello stadio splendido, costruito in centottanta giorni da Costantino Rozzi.
I contadini non hanno opposto resistenza. In nome del pallone, hanno lasciato la loro terra anche a mille lire a metro quadro . Duecento mezzi hanno lavorato giorno e notte. E settanta operai fino al fischio d’inizio della partita. L’ingegnere si è rifiutato di firmare il verbale di agibilità del campo ed è scomparso nel nulla. E il giudice ha sequestrato gli atti. Per evitare che la partita del secolo venisse spostata altrove, il Comune ha affidato l’incarico a un altro professionista. Pare l’abbia scelto proprio Rozzi e, in un attimo, è arrivato il nullaosta dalla prefettura. Ci sono tutti. A un certo punto sembrano anche troppi.
Ventiseimila biglietti venduti. Qualcuno rimane fuori. E chi è dentro, sta stretto. Ci sono tante donne come il giorno della promozione in B . Qualcuno spinge “Io vengo da Napoli”, qualcun altro “Io vengo dal Canada” o dalla Svizzera , poi dalla Germania. Perché il Molise è terra di emigranti. “Non credevo arrivasse tanta gente”, dice il presidente Molinari . E poi prende fiato. Perché adesso si può dire che tutto è filato liscio. Il Molise ha finalmente il suo stadio e ha deciso per un giorno di trasferirsi in forze lì dentro per Campobasso – Juventus.
Quelli della C
Ci sono tutti e in mezzo c’è Marco Maestripieri, fascia di capitano . “Eravamo sicuri di battere la Juventus quel pomeriggio”. Lui è uno di quelli degli anni della serie C. Con quel gol bello e impossibile aveva messo in ginocchio la Cavese, ma la promozione era sfumata solo per un punto. L’anno dopo a Casarano si prende anche un sasso in testa e finisce tre giorni in ospedale. In quel centrocampo accanto a lui c’era l’esperto Guido Biondi , il migliore della categoria nei calci piazzati. Poi Raffaele Di Risio, molisano e corridore . E Primo Maragliulo, mezzala ribelle ed elegante, che segna il gol promozione alla Reggina. Anche quel giorno c’erano tutti. E alla fine era stata indetta “una settimana di felicità”. La prima casalinga tra i “professionisti” era stata sempre Coppa Italia, contro la Fiorentina. Quella dei campioni del mondo Antognoni, Graziani , Passarella e Bertoni . Il Campobasso tiene senza affanni e prova a colpire. Poi l’arbitro lo lascia in dieci, fuori Di Risio per doppia ammonizione. A un quarto d’ora dalla fine, Biondi lancia Goretti a sinistra. Sul cross, velo di Biagetti per D’Ottavio, che ne salta elegantemente uno e batte Galli.
Perché i Lupi dimostrano di trovarsi a pieno titolo tra le grandi . La festosa rivendicazione di un’identità. L’avvio di campionato è da far tremare i polsi : senza sponsor, senza finanziamenti pubblici, la minaccia di messa in liquidazione. Con i dirigenti che pagano il biglietto per entrare allo stadio: forse è vero che l’Italia è altra cosa. E nella prima all’ Olimpico contro la Lazio, la matricola si disimpegna più che onorevolmente. Già perché in difesa ha uno dei migliori liberi d’Italia. E non lo dicono i tifosi. E nemmeno i compagni o il presidente. Lo dice Azeglio Vicini , che nell’Under ’21 chiama Mimmo Progna. E in porta c’è Walter Ciappi a dare sicurezza: “Si vinceva spesso. Ma dopo una sconfitta, quando il martedì negli spogliatoi ci si rivedeva, non era niente. Si ripartiva perché eravamo consci di essere forti dentro”.
La squadra è stata potenziata in attacco. E’ arrivato Oscar Tacchi, figlio d’arte e d’Argentina. Uno di quelli che spaccano la partita : “Io non avevo molta voglia di allenarmi . Scherzavo sempre. Ma quando entravo in campo, scattava una molla “. In serie B c’è anche il Milan del trioJordan-Incocciati-Damiani. Qualche sorrisetto per la prima del Campobasso nella Scala del calcio. Ma alla fine è un altro 0-0 . E una salvezza anticipata. L’anno dopo i Lupi avevano addirittura condotto il campionato per un paio di mesi. Sei vittorie consecutive in casa, nel vecchio stadio. Una squadra compatta , miglior attacco e miglior difesa del campionato. Enrico Ameri aveva preso la linea da Trieste per raccontare il gol spettacolare di Maragliulo su piazzato : “L’avevo provato e riprovato in allenamento. Come Zico”. E duecento tifosi al seguito quel giorno: ventiquattrore di treno.
Molinari credeva alla serie A e lo ripeteva. Poi spostava l’ obiettivo: “Il presidente era come un padre. Lui non entrava mai negli aspetti tecnici. E riusciva sempre a trovare la parolina giusta, sdrammatizzava. Una volta ci raduna tutti come al solito in una sala con un lungo tavolo. Vicino a lui c’era Luigi Ciarlantini e lui interrompe il discorso a metà e gli chiede ‘ Ma tu come ti chiami ?’ ‘Ma Presidente …… mi chiamo Luigi’ ”. Anche per la trasferta di Como c’erano tutti, stavolta in tremila. E poi al ritorno erano scesi sul terreno del vecchio Romagnoli per spalare la neve . Bisognava giocare contro la Cremonese, scontro diretto. La partita era anche in schedina. E si era messa bene. Al quarto d’ora palo di Maragliulo. Tre minuti dopo ancora lui in mezzo per il colpo di testa di Maestripieri: 1-0. Passano dieci minuti e Tacchi viene atterrato da Galbagini: niente. L’arbitro forse è coperto. Nella ripresa la loro ala sinistra pareggia e la serie A sfuma. Forse vale la pena ricordare che quel numero 11 si chiamava Gianluca Vialli.
La partita
Ci sono tutti il 13 febbraio 1985, ma la Juve è scesa in campo con quell’arietta di sufficienza che talvolta è presagio di sventura. Il Campobasso carica a testa bassa e anche quelli esperti e navigati, perdono lucidità .Marco Maestripieri sovrasta Vignola: “In quelle partite dai tutto te stesso. Tiri fuori anche qualcosa che gli altri non conoscono. E poi avremmo preso il premio partita solo in caso di vittoria”. Trapattoni l’aveva detto: “Vietato prendere sotto gamba queste squadre di serie B”. In mezzo c’è anche Silvano Pivotto che macina chilometri in allegria. Poi c’è Mario Goretti, quello che tiene il pallone in banca . Lo cerca Prandelli, disperatamente. Mentre Carlo Perrone distende la falcata morbida e impetuosa, partendo da destra. Quando si accentra, risucchia Caricola. E ci scappa anche un cartellino giallo. A proposito, c’è le roi Michel Platini, ma rema controcorrente, deve arretrare . Gioca camminando, come se non avesse voglia nemmeno di mettere le mani sui fianchi. Zibì Boniek, invece, guarda proprio la partita.
Trentottesimo del primo tempo: Perrone per Goretti, che sfonda a destra e la mette in mezzo splendida. Favero respinge corto e Ugolotti può fermarla di petto. Poi gira come gli viene. Forse un po’ si emoziona. C’è un’intera regione che spinge quella palla . Qualcuno chiude gli occhi. Pioli cerca di rimediare. La palla rallenta, ma prosegue quanto basta per scavalcare il portiere Bodini, ormai sdraiato . Che oppone un ultimo, disperato tentativo. La tocca quando ha già oltrepassato la linea: Campobasso – Juventus 1-0 . E adesso le strutture portanti dello stadio vengono messe davvero alla prova. Ugolotti lo deve dividere con quattrocentomila molisani: “E poi oggi mi darebbero gol”. Trapattoni è una furia. E ha capito con chi prendersela: Platini e Boniek restano negli spogliatoi, dentro Paolo Rossi. Nei Lupi, Oscar Tacchi per Rebonato : “Noi avevamo situazioni stereotipate affinate in allenamento e che risalivano ai tempi della serie C”. Ci sono tutti quel pomeriggio per scoprire il sottile confine fra la storia e la leggenda. Poi Tacchi molla Favero ai blocchi e tira. Bodini sfiora, Goretti da due metri prende il palo e Donatelli colpisce d’incontro: Bodini se la ritrova tra le mani. La Juve è nel caos.
Marco Maestripieri
E ancora Bodini deve uscire alla disperata. Perché quando Coppetelli fischia la fine, il Campobasso è in attacco : “Rappresentavamo perfettamente la mentalità dei molisani: quella di chi vuole far bene, ma è tagliato fuori dal mondo intero. E la gente ce lo diceva“. C’erano tutti quel giorno. Anzi no. Perché mancava lui, il capitano della promozione. La prima pietra del nuovo stadio porta il suo nome. E infatti adesso la curva Nord la chiamano: Curva Michele Scorrano. Veniva da Ururi, paesino di minoranza albanese a sessanta chilometri da Campobasso. In silenzio, perché lui era uno schivo, parlava poco . Ma nello spogliatoio non c’era voce più ascoltata : “Noi molisani possiamo anche non avere qualcosa in più dal punto di vista tecnico, ma abbiamo tanta grinta che sopperisce a ogni lacuna”.
Michele Scorrano è partito dalla serie D col suo Campobasso ed è planato nel calcio che conta, fuori dalla minoranza calcistica. Per due volte ha fatto assaggiare a Bruno Giordano la scorza dura del terzino di provincia : il numero 9 della Lazio si è innervosito e non ha beccato palla. Quel mercoledì in campo, Michele Scorrano non c’era. Non serve neanche chiudere gli occhi per vederlo nella foto di gruppo. Perchè tutti pensavano a lui. E adesso i ragazzini sul cellulare hanno la sua faccia al posto di quella della fidanzata : “Per ottenere quei risultati , ci voleva un grande gruppo. Persone che si frequentassero anche fuori dal campo. Lui era il nostro capitano, il collante. Mi ha fatto capire qual era l’anima di Campobasso. Che il calcio è sacrificio e che per arrivare, bisogna dare il massimo”. C’erano tutti e avevano capito che la gara di ritorno non contava più nulla, perchè il Molise non aveva vinto : aveva stravinto.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it