Era solito dare bibbie ai giocatori avversari, per questo divennenoto come Goleiro de Deus, Portiere di Dio. Era uno dei precursori del movimento Atletas de Cristo, Gli atleti di Cristo. Stiamo parlando di João Leite, idolo dell’ Atlético Mineiro, dove collezionò 684 presenze.
Divenne titolare nel 1977 in seguito all’infortunio di Miguel Ángel Ortiz. L’allenatore Barbatana lo scelse come sostituto e da allora diventò uno dei più grandi idoli della tifoseria atleticana, anche in seguito ai rigori parati a Getúlio durante la finale della Copa Brasil.
Fu nel 1992, nel suo secondo ciclo all’Atlético dopo le esperienze con Vitória di Guimarães e América Mineiro, che vinse la Copa Conmebol, l’equivalente sudamericana della Coppa Uefa, che venne disputata sino al 1999. Il Galo la ipotecò nella finale di andata, in casa contro i paraguaiani dell’Olimpia Asunción, grazie a due gol di Negrini, in una notte di pioggia, il 16 settembre. Nel primo confronto della finale, al Mineirão, la squadra di Minas Gerais ha battuto Goycoechea, Amarilla e compagni, che costituivano una squadra molto esperta, che nel 1989 era andata in finale nella Libertadores, l’anno successivo l’aveva vinta, per arrivare ancora seconda nel 1991.
“È stata una battaglia. L’Olimpia ha giocato molto bene al Mineirão. Abbiamo vinto 2-0, ma loro hanno avuto molte occasioni nel primo tempo. Sentivo dolore al ginocchio, non volevo giocare, ma il nostro allenatore era Procópio Cardoso, che mi ha detto tassativamente che avrei dovuto scendere in campo. Ho dovuto fare un trattamento intensivo, ma poi Humberto ha dovuto sostituirmi nel secondo. Abbiamo vinto! Quindi, siamo andati ad Asunción” ama ricordare in ogni intervista João Leite. Partita decisiva sette giorni dopo in Paraguay. Non si è giocato al Defensores del Chaco, ma nello stretto campo Manuel Ferreira, lo stadio che l’Olimpia pensava di trasformare in fortino.
Il 23 settembre 1992, il Galo subì ogni tipo di pressione, capitolò al 44 ‘nel secondo tempo, con il go di Caballero. Nonostante la sconfitta, la squadra di João Leite, Toninho Pereira e Ailton si assicurò il titolo.
“Lì, amico mio, fu la battaglia di Asunción. Quando arrivammo allo stadio, i tifosi dell’Olimpia erano già lì in nassa. Abbiamo accusato un’estrema pressione. Mi stavo scaldando prima della partita e un razzo è stato fatto esplodere sotto le mie gambe. È stato un dolore atroce. Abbiamo anche preso un goal dalla linea di fondo. Come diceva Nelson Rodrigues: ‘era soprannaturale’. Ma c’era un Dio e ce l’abbiamo fatta”.
Nei diciassette anni in cui ha giocato con l’ Atlético Mineiro, João Leite ha vinto anche dodici Campionati Mineiro. Fu selezionato per la nazionale brasiliana durante il Mundialito del 1980 in Uruguay (perdendo la finale per 2-1 contro i padroni di casa), e la Copa América del 1979 (vinta dal Paraguay sul Cile, con i Verdeoro terzi a pari merito con il Perrù), e disputò cinque partite ufficiali nella Seleção tra il 1980 e il 1981.
“Un sogno comune quello di fare strada per una felicità condivisa in terra o in cielo”: a João Leite ha dedicato un agile ed efficace ritratto Darwin Pastorin.
“Era il gennaio del 1981 a Montevideo andava in scena il Mundialito per Nazionali. L’Uruguay era un Paese segnato dalla dittatura militare. Come già era successo in Argentina, nel 1978, il calcio diventava strumento per coprire le torture, per distrarre e illudere le persone”. Pastorin, da inviato, seguiva il Brasile. Lui che è nato in Brasile da genitori italiani.
Era la Seleçao allenata da Telé Santana, una squadra di ottimi solisti: Batista, Cerezo, Éder, Oscar, Zico, Júnior.
“Su tutti, però, spiccavano due personaggi Sócrates e Joāo Leite. Il primo con forza parlava di marxismo, di materialismo storico e di un calcio socialista che avrebbe poi tentato di praticare utopicamente al Corinthians. Il secondo era, invece, il portiere missionario, l’estremo difensore della fede”.
Mario Bocchio
Bibliografia: “João Leite, portiere di Dio” è un estratto dal libro “I portieri del sogno – Storie di numeri 1”, di Darwin Pastorin, edito Einaudi (Torino 2009), con prefazione di Gigi Buffon.