Un tempo la vita dei portieri di riserva era pressoché segnata, Specialmente se il titolare si chiamava Dino Zoff.
Massimo Piloni, negli anni in cui militò nella Juventus, era la disperazione – e nel contempo la fortuna – dei bambini che collezionavano le figurine. La sua era pressoché introvabile, e se per puro caso avevi la fortuna di avercela doppia, gli scambi erano a peso d’oro.
Ma che fine ha fatto Piloni? Alcuni anni fa di lui si è occupata la “Gazzetta dello Sport”, per raccontare il suo momento di difficoltà. D’altronde allora non c’erano gli ingaggi di oggi.
(repubblica.it, anno 2012) – Ce lo ricordiamo con quella tuta celeste che pareva un pigiama, a bersi tutta l’ ombra che le leggende si lasciano dietro, una corrente che porta via ogni cosa. Il prezzo della gloria lo paga sempre la gente comune. La luce abbagliante di Dino Zoff gli cadde addosso come un sacco, e Piloni ci restò dentro per anni.
Era il portiere di riserva, ma Zoff avrebbe giocato anche da moribondo, anche nel sonno, anche a briscola. Non gli serviva a niente, una riserva.
“Ero grande e grosso, però agile. Se la Juve mi aveva scelto, vuol dire che mi stimava. Nella vita bisogna conoscere il proprio ruolo, e il mio era essere la riserva di Zoff”.
Il dodicesimo, come si diceva allora.
“Fu importante, fu come scivolare dentro un imbuto”.
Piloni aveva una faccia senza sorriso. Tre scudetti nell’ imbuto e zero presenze.
“C’ era quest’ amichevole ad Ancona, la mia città. Speravo che Zoff mi cedesse il posto, invece volle giocare lui a tutti i costi. Una delusione come fosse ieri”.
Poi i giorni passano, aspettando quello che non verrà. Massimo Piloni si sedeva sulla panchina e tirava fuori la radio, se la metteva all’ orecchio come un pensionato ai giardinetti e ascoltava “Tutto il calcio minuto per minuto”. Il suo compito era aggiornare la squadra sui risultati degli altri.
Gregario anche in questo.
“Ma io mi vanto di quegli anni, ero sempre pronto, facevo vita da atleta più di tutti, perché se mi avessero chiamato sarei stato pronto, perfetto, in forma. Non mi chiamarono mai”.
I tartari non vennero, ma ecco Piloni sempre di vedetta, con la mano a visiera. L’ ombra, non solo negli occhi.
“Con Dino non parlavo mai di me, la sensibilità avrebbe dovuto averla lui, quella di accorgersi ogni tanto che esistevo. Ma Zoff non era così sensibile. Una volta giocò una semifinale di Coppa Italia togliendosi il gesso dalla mano, perdemmo 2–3 in casa. Credo che se lui è stato così grande, un po’ di merito l’ ho avuto anch’ io, non gli ho mai dato fastidio”.
L’ uomo della radiolina si levò il pigiama solo due volte, le uniche da titolare: in Coppa Italia con il Cesena e prima dell’ arrivo di Dino in semifinale di Coppa delle Fiere.
“Fui un drago, il migliore in campo, parai tutto e anche di più”.
Ma il destino è come il tempo, è come un portierone friulano, è troppo forte e senza sensibilità.
“Mi ruppi il polso prima della finale contro il Leeds che sarebbe toccata a me, lui non era ancora arrivato, io persi la partita e la Juve la coppa”.
“Sarà lui il futuro della Juve”, annunciò un giorno Boniperti. Poi prese Zoff. Pilade ebbe una sorte simile, ma peggiore, di quella delle altre riserve del mitico, Alessandrelli e Bodini, divorati dalla mantide. Però Piloni di più, Piloni peggio. Gli hanno pure dedicato uno spettacolo teatrale, “Perseverare humanum est”.
Non più un giocatore di pallone ma una metafora, forse una vittima, più probabilmente un eroe della resistenza, della cieca fiducia, perché domani sia migliore. Non lo è quasi mai.
“Per giocare dovetti andarmene”. Si fece crescere la barba e passò al Pescara: con quella faccia nuova, piena di setole, finalmente era un altro, finalmente era lui.
“Titolare tre anni su tre, 107 partite su 108, la storica prima promozione in serie A, tra i pali anche con uno strappo all’ inguine. Ero bravo, lo ero sempre stato, ora però si vedeva. Un giornalista di Pescara chiese a Zoff: com’ è, questo Piloni? E Dino rispose non so, non lo conosco bene, eppure mi vedeva in allenamento ogni santo giorno”.
Il resto fu un viaggio nuovo, fuori dall’ ombra del mito, fuori dall’ imbuto, nella luce tremula che si riverbera in periferia: Rimini, Fermo, poi la carriera da preparatore dei portieri, Perugia, Catania, San Benedetto, anche in Scozia, al Livingston.
“Ho lavorato con allenatori del calibro di Mazzone, Reja, Cosmi, Boskov, modestamente ho allevato portieri come Iezzo, Mazzantini, Pantanelli, Storari”. Storari che è una specie di moderno Piloni, visto che ha fatto la riserva di Buffon alla Juve: al destino piace girare in tondo.
E Zoff? Mai più sentito?
“Un giorno andai a trovarlo a Roma, quando Dino allenava la Lazio. Mi presentai al campo, gli dissi ciao, mi rispose ciao. Poi si mise a leggere il giornale”.