L’uomo che nacque tre volte, la terza non si riconobbe più. Perché la prima fu una bugia, la seconda un pianto e la terza una confessione.
Era nato il 21 gennaio del 1979. Anzi no: era nato il 3 dicembre del 1975. Anzi no: era nato il 22 agosto del 2002. Fu quel giorno che disse: “Io non sono io”.
Si chiamava Luciano Siqueira de Oliveira, ma noi lo conoscemmo come Eriberto. Era arrivato nel 1998 a Bologna, magro da far paura, con gli occhi tondi, la faccia scavata e un segreto. Sembrava uno dei tanti, lo battezzarono “Eri-merdo”, e fu il meno azzeccato dei suoi tanti nomi.
Nel 2000 passò al Chievo e la vita cambiò, un’altra volta. Fu gazzella, fu farfalla, fu un’ala destra inarrestabile. Lo battezzarono “piccolo Garrincha”. Nel Chievo di Del Neri giocò due stagioni esaltanti. Poi dimenticò chi avrebbe voluto essere e si ricordò chi era.
“Non sono Eriberto, mi chiamo Luciano. Non ho ventiquattro anni, ne ho ventisette”. Si autodenunciò il 22 agosto del 2002. E raccontò la sua storia. Viveva a Rio de Janeiro, voleva fare il calciatore.
Aveva meno di vent’anni quando un prete che conosceva gli presentò un procuratore di nome Moreno. “Vuoi diventare calciatore?” gli chiese. “Sì”, rispose. “Dammi la tua vita”, disse il procuratore. Accettò, e la sua vita non fu più sua. Cambiò nome, divenne Eriberto. E cambiò il suo destino, divenne calciatore.
Visse una vita non sua, giocò, si pentì. “Come sopportare in me questo estraneo? Questo estraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo? Come non conoscerlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e fuori intanto dalla mia?”
Così Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, così il fu Eriberto il 22 agosto del 2002, quando si costituì alla sua coscienza. Venne squalificato. Sei mesi, poi ridotti a quattro. Il 24 gennaio del 2003 si riprese la sua identità. Tornò a giocare: Inter, poi ancora Chievo. Tornò più leggero, tornò più brocco. Da quel giorno non fu più lui. Purtroppo, non fu più neppure l’altro.
Furio Zara