“Il Van Basten serbo”: dell’olandese aveva le gambe da fenicottero e una certa linda arroganza nel porsi
Gen 1, 2020

L’uomo che fu comprato due volte dal Parma: la prima costava otto miliardi e non se ne fece niente, la seconda cinquantacinque e quella fu la volta buona.

Nel Partizan Belgrado
Con la Jugoslavia, sulle figurine

La prima volta era l’estate del 1995, c’era l’accordo, c’era il contratto, c’era il sì del Partizan Belgrado, c’era lui che era pronto a partire, ma qualcosa all’ultimo momento andò storto: il Parma lo comprò, non lo tesserò e lo girò all’Aston Villa.

Nell’Aston Villa

La seconda volta, cinque anni e molti miliardi dopo, Savo Milosevic finalmente arrivò. Il Parma lo comprò dal Real Zaragoza: aveva segnato trentasei gol in due anni, aveva appena vinto con Kluivert la classifica dei cannonieri a Euro 2000.

Aveva un contratto con il Real Zaragoza fino al 2003. La sua clausola rescissoria era di settantadue miliardi. Il Parma versò cinquantacinque miliardi agli spagnoli e fece firmare a Savo Milosevic un contratto di sette miliardi netti a stagione, per sei anni. Un affarone, no? Lo chiamavano “il Van Basten serbo”: dell’olandese aveva le gambe da fenicottero e una certa linda arroganza nel porsi, arroganza non sostenuta dalla classe, però.

Fisico pesante, quando si girava in area pareva di sentirlo cigolare: segnava gol rabbiosi, come se dovesse sempre dimostrare qualcosa a qualcuno. Savo Milosevic  arrivò in Italia e disse: “Posso fare più di venti gol a campionato”. Non li fece. Mugugnò molto, passò svariate domeniche infagottato in panchina, non convinse mai.

L’azione più degna di essere ricordata la fece un pomeriggio di ottobre quando prese un aereo e partì per Belgrado.

Nell’Espanyol di Barcellona
Con l’Osasuna di Pamplona

Doveva fare una cosa. E doveva farla subito. “Non posso più restare a guardare”, disse.

Ancora in Spagna, questa volta con il Celta di Vigo

Arrivò a Belgrado, incontrò alcuni amici, parlò come parlano i sopravvissuti, che quando si guardano negli occhi, dentro ci vedono tutte le storie che sono passate di lì, e quelle storie, per lui, serbo nato a Bijeljina e vissuto da sempre in Bosnia, erano immagini ben precise, che facevano male.

Con la Nazionale della Serbia e Montenegro

Così si mise addosso una maglietta, e disegnato sulla maglietta c’era un pugno, il simbolo dell’opposizione al regime di Slobo Milosevic. E poi giocò una partita di calcetto, in piazza, a Belgrado. Era un modo come un altro di dire: basta alla guerra.

Chiuse la carriera in Russia nel Rubin Kazan

Se ne andò dall’Italia nel gennaio del 2002, tornò in Spagna, nel Real Zaragoza. La guerra in Jugoslavia stava finendo, un po’ alla volta.

Furio Zara

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