Pak Doo-ik fu l’eroe che affondò l’Italia
Gen 18, 2021

Ai Mondiali di calcio del 1966, l’ottava edizione del torneo, la nazionale italiana si presentò con una buona squadra: non era particolarmente forte, ma aveva diversi ottimi giocatori come Giacinto Facchetti, Giacomo Bulgarelli, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. L’allenatore era il romagnolo Edmondo Fabbri, che in passato era stato un discreto giocatore e che negli anni precedenti alla Coppa del Mondo, da allenatore, aveva portato il Mantova dalla Serie D fino alla Serie A. L’Italia era considerata da tutti come una delle migliori nazionali al mondo, anche se inferiore a Brasile, Germania e Inghilterra. Tuttavia, non vinceva un torneo dal Mondiale del 1938. La nazionale di calcio nordcoreana invece, nessuno la conosceva. Era l’unica squadra asiatica a partecipare a quella Coppa del Mondo ed era formata interamente da giocatori dilettanti. Per tutti era la squadra di gran lunga più debole del torneo.

La gioia dei Norcoreani al termine della partita

Sedici anni prima, nel giugno del 1950, la Corea del Nord aveva invaso la Corea del Sud. Da lì era iniziata la cosiddetta “guerra di Corea”, considerata come una prova di forza tra Occidente (combatterono anche Stati Uniti, Australia, Francia, Regno Unito e un’altra decina di paesi) e comunismo (Unione Sovietica e Cina stavano con la Corea del Nord), che andò avanti fino al luglio del 1953, quando le operazioni militari terminarono pochi mesi dopo la morte di Stalin.

Al termine della guerra venne creata la zona demilitarizzata coreana per dividere i due paesi, che esiste ancora oggi. Per tutto quello che era successo nei primi anni cinquanta, prima dell’inizio della Coppa del Mondo in Inghilterra si pensò addirittura di non permettere alla nazionale nordcoreana di entrare nel paese per giocare i Mondiali. Alla fine ciò non successe e i giocatori nordcoreani poterono raggiungere la sede del loro ritiro inglese, ma per non rischiare incidenti diplomatici, in quella edizione della Coppa del Mondo non furono suonati gli inni nazionali prima dell’inizio delle partite, poiché l’Inghilterra non riconosceva come stato la Corea del Nord.

Italia e Corea del Nord furono sorteggiate nello stesso gruppo, insieme alla squadra dell’Unione Sovietica e al Cile. L’Italia partì bene e vinse la prima partita contro il Cile per 2 a 0, grazie ai gol di Sandro Mazzola e Paolo Barison. Per la Corea, come previsto, l’inizio fu molto difficile, perché venne sconfitta 3 a 0 dall’Unione Sovietica confermando la scarsa considerazione che circolava sulla squadra. Poi però le cose cambiarono: l’Italia perse 1 a 0 contro l’URSS e la Corea riuscì a pareggiare 1 a 1 contro il Cile. Con L’URSS già qualificata per la fase a eliminazione diretta, all’ultima giornata della fase a gironi, il 19 luglio, Italia e Corea del Nord giocarono contro all’Ayresome Park di Middlesbrough. Nonostante il pareggio contro il Cile, i giocatori della nazionale italiana consideravano la Corea del Nord come la squadra “materasso” del girone, cioè quella contro cui tutte le squadre sarebbero riuscite a fare punti facilmente. In effetti, i giocatori nordcoreani non erano né abili tecnicamente né particolarmente predisposti fisicamente. Chi li osservò disse che erano solamente molto veloci e grintosi: Ferruccio Valcareggi, uno degli assistenti di Fabbri, dopo averli osservati li definì dei “ridolini”.

La Nazionale della Corea del Nord

Nei primi minuti di partita l’Italia ebbe almeno tre occasioni per segnare e andare in vantaggio, ma non riuscì a sfruttarne nemmeno una. L’Italia continuò poi ad attaccare gli avversari dimostrando però di avere poca lucidità davanti alla porta nordcoreana. Così continuò fino al 42esimo minuto del primo tempo, quando Mazzola controllò male un pallone rinviato da Albertosi a centrocampo, dando palla agli avversari e permettendo al centrocampista Pak Doo-ik di tirare in porta da appena oltre il limite dell’area di rigore, e di segnare il gol del vantaggio.

Il gol di Pak Doo-ik 

La maggioranza dei tifosi presenti allo stadio esultò, perché tifava per la Corea del Nord, come spesso succede quando una squadra nettamente sfavorita ha la possibilità di battere una molto più forte. A peggiorare ulteriormente la situazione dell’Italia, prima del gol della Corea del Nord il centrocampista e capitano della nazionale Giacomo Bulgarelli, che era stato schierato titolare da Fabbri nonostante un problema ad un ginocchio, si fece male proprio al ginocchio già dolorante e non poté proseguire la partita. Allora le sostituzioni non erano consentite e l’Italia si ritrovò a giocare in dieci per più di metà partita.

Dopo il gol di Pak Doo-ik e senza il capitano, l’Italia non fu più in grado di reagire. Continuò ad attaccare in maniera confusionaria e quelle poche buone occasioni da gol vennero salvate dal portiere nordcoreano. Come dissero poi alcuni giocatori di quella nazionale, dopo il gol subito gli italiani persero fiducia nelle loro capacità e nella squadra. La partita si concluse con la Corea del Nord in attacco. La portata della sconfitta fu incredibile: la nazionale italiana, due volte campione del mondo, era stata battuta da una squadra di dilettanti composta da molti giocatori che in patria giocavano a calcio solo nel dopolavoro (molti erano membri dell’esercito). Di Pak Doo-ik si disse che era un dentista, ma in realtà possedeva solo la qualifica e non aveva mai esercitato la professione: era un caporale dell’esercito nordcoreano.

Bulgarelli è costretto a lasciare l’Italia in 10 a causa di un infortunio al ginocchio

La nazionale italiana lasciò l’Inghilterra qualche giorno dopo la sconfitta di Middlesbrough. L’aereo con a bordo i giocatori e lo staff sbarcò all’aeroporto Cristoforo Colombo di Genova nella notte del 24 luglio. Ad aspettare la nazionale c’erano centinaia di tifosi, che appena videro i giocatori iniziarono a lanciargli contro ortaggi e pomodori. Dopo aver eliminato l’Italia invece, la Corea del Nord si qualificò ai quarti di finale – prima squadra asiatica della storia a riuscirci – dove venne eliminata dal Portogallo di Eusebio dopo aver perso 5 a 3.

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