La leggenda di Pierino Prati sbocciò il 28 maggio 1969, al Santiago Bernabeu di Madrid, contro l’Ajax di Johann Cruijff: il Milan di Rocco conquistò la sua seconda coppa dei Campioni, e Prati firmò una storica tripletta. Mai nessuno, in seguito, è riuscito a eguagliarlo. Con la maglia rossonera vinse tutto, con l’Italia fu campione d’Europa. Segnò 100 gol in serie A e a fine carriera emigrò negli Usa.
Cosa ricorda di quella sera contro l’Ajax?
“Intanto che noi eravamo una squadra straordinaria. Una squadra che, purtroppo, è durata poco, perché la maggior parte dei giocatori era a fine carriera. Ma in quei due anni, a livello nazionale, europeo ed anche mondiale, si dimostrò la squadra più forte. Incontrammo una squadra che era una novità, che era giunta in finale come una sorpresa. Quella era una squadra nuova che, dopo due anni, avrebbe poi dominato a livello europeo per parecchio tempo. E’ chiaro che noi eravamo i favoriti e rispettammo il pronostico”!.
Per tutti era (ed è) “Pierino la peste”. Pierino Prati, classe 1946, da Cinisello Balsamo, fu un’ala sinistra rapida, essenziale, dal tiro preciso e secco. Ebbe solo una grande sfortuna: quella di trovarsi davanti un fuoriclasse inarrivabile come Gigi Riva, che lo costrinse a limitare le presenze in Nazionale. Tuttavia fece parte dell’Italia che conquistò, nel 1968, il campionato Europeo per nazioni.
“Feci il mio esordio con la maglia azzurra il 6 aprile 1968 contro la Bulgaria nell’andata dei quarti dell’Europeo – racconta. – Il mio gol portò il punteggio sul 3–2 per i bulgari, ma fu determinante. Al ritorno infatti segnai nuovamente e la Nazionale vinse 2–0 qualificandosi per la semifinale: giocai la finale in coppia con l’esordiente Anastasi, mentre nella ripetizione della finale fui sostituito da Gigi Riva. Riva segnò dopo pochi minuti e, con il raddoppio di Anastasi, l’Italia si laureò campione d’Europa”.
Prati debuttò in serie A con la maglia del Milan nella stagione 1965-‘66 per poi essere ceduto al Savona col quale disputò una stagione in B per poi tornare in maglia rossonera l’anno successivo. In sette stagioni con il Diavolo (nelle quali collezionò 143 gare e 72 reti), vinse tutto, oltre a un titolo di capocannoniere (´68): 1 campionato (´68), 1 coppa Italia (´72), 1 coppa Campioni (´69), 2 coppe delle Coppe (´68 e ´73) e 1 coppa Intercontinentale (´69).
“Straordinaria fu la mia intesa con Gianni Rivera – ammette –, il Golden Boy era la mente, io il braccio. Lo stesso Rivera non ha mai negato di avere grande simpatia per me, per il fatto che era facile lanciarlo a rete e vederlo segnare. Al mio primo vero campionato con il Milan vinsi lo scudetto e la coppa delle Coppe, ma soprattutto, con grande soddisfazione personale, la classifica dei cannonieri con 15 reti davanti ad Altafini, Combin e Riva. Devo tutto a Nereo Rocco”.
Poi un riferimento è tutto per un giocatore alessandrino, Pier Paolo Scarrone: “Era un giovane interessante e di talento. Dotato di un tiro micidiale, praticamente nato per fare il regista, nel senso che aveva un fiuto innato per individuare il magico momento di ispirare il gol, credo che avrebbe potuto essere secondo solo a Gianni Rivera. Ma purtroppo già allora aveva quale punto debole il carattere, scusate l’espressione, poco serio per dare delle garanzie ad un allenatore”.
Quali sono i ricordi più nitidi in maglia rossonera?
“Ricordo la gara contro il Celtic Glasgow, si giocò a Milano sotto una tormenta di neve, i giocatori imbacuccati sembravano pupazzi di neve al polo nord, il pallone arancione era l’unica cosa veramente visibile, finì 0–0 e tutto venne rimandato in terra scozzese, dove la formazione, per tutti i maniaci dei corsi e ricorsi storici come me, fu la seguente: Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Rosato, Malatrasi, Maldera, Hamrin, Lodetti, Prati, Rivera, Scala. L’impresa, perché di questo si trattò, fu la vittoria davanti ad un pubblico di cuori biancoverdi che spinsero i loro beniamini in maniera incredibile, ma non riuscirono a scalfire la magnifica difesa messa in campo dal Paron. Al 12’ ci pensai ancora una volta a buttarla dentro dopo una fuga nelle praterie britanniche lasciate incustodite dai disattenti centrali difensivi, seguì un lungo interminabile assedio con Cudicini in versione ‘salvatore della patria’, da allora denominato ‘Black Spider’.
Fu il viatico per la semifinale contro il Manchester United e soprattutto per la finalissima di Madrid contro l’Ajax. Poi non potrò mai dimenticare la coppa Intercontinentale. Il 3–0 inflitto a San Siro all’Estudiantes sembrò chiudere qualsiasi discorso, ma in terra argentina furono botte da orbi in un rettangolo verde appositamente trasformato in ring con la silenziosa collaborazione dell’arbitro cileno Massaro. Resistemmo agli attacchi e portammo in terra italiana la ambita coppa”.
Poi Prati passò alla Roma e, incluse due parentesi alla Fiorentina e negli Usa (quando in America emigravano solo fuoriclasse del calibro di Beckenbauer, Crujyff, Neeskens e Chinaglia) con i Rochester Lancers, imboccò definitivamente il viale del tramonto. Chiuse la carriera in serie C2, giocando ancora nel Savona.
Da ragazzetto che tirava calci nella squadra del suo paese, ce ne ha messo di tempo a convincere gli amici Santin e Maldera (già nelle giovanili rossonere) a fargli fare un provino con il Milan di Liedholm. E superato il provino pensava che la strada fosse tutta in discesa. Invece, per lui le difficoltà erano appena cominciate. Tre anni durante i quali le sue apparizioni a Milano sono state appena due avendo passato la maggior parte del tempo in serie B e C. Ma i gol segnati nei campionati minori hanno convinto la società rossonera a richiamare “la peste”. E sotto Rocco, come detto, arrivò finalmente l’esplosione.
“Quando decisero di farmi fare le ossa in provincia, ci fu un momento in cui si parlò anche dell’Alessandria, ma alla fine andai al Savona, che militava in B proprio con i Grigi – rammenta Prati -. La Sampdoria vinse il campionato e noi e l’Alessandria retrocedemmo in C. Ricordo ancora che perdemmo al ‘Moccagatta’ (3-0, con doppietta di Pasquina e gol di Colautti, N.d.A.) e pareggiammo 0-0 in casa. Dei Grigi avevo sempre saputo che erano stati la squadra che aveva visto nascere e crescere il mio amico Rivera e dove aveva finito per approdare Franco Pedroni, a cui lo stesso Rivera deve molto”.
Quelli come Pierino Prati raramente giocavano la palla di prima, quelli come lui non conoscevano né la diagonale nè l’elastico, quelli come lui non si schieravano mai in linea, quelli come lui non disputavano anticipi e posticipi, quelli come lui sognavano di vincere la coppa Rimet e la coppa dei Campioni quando non aveva ancora le grandi orecchie, quelle dell’Inter per intenderci.
Quelli come lui nascono a Cinisello Balsamo nello sterminato hinterland milanese e cominciano a tirar calci ad un pallone un po’ come tutti i ragazzetti della sua età, viene notato e prelevato dagli attenti selezionatori della primavera del Milan i quali intravedono in lui un giovane di belle speranze o almeno all’epoca li chiamavano così.
Quelli come lui sanno che rimarranno sempre nel cuore dei tifosi e che le proprie gesta eroiche da fromboliere implacabile rimarranno scolpite nella mente di chi ha avuto la fortuna di vederle dal vivo.
Dopo gli inizi trascorsi con le maglie della Salernitana e del Savona venne richiamato in rossonero dove per sette anni inanellò gol e prestazioni da cineteca facendo tesoro delle lezioni tattiche di Nils Liedholm e di quelle umane di Nereo Rocco, ma furono soprattutto le notti europee a regalare a “Pierino la peste” ed al suo Milan il proscenio per le serate memorabili, quelle che una volta si raccontavano ai nipotini.