Alla fine del secolo scorso, c’è stato uno spettro libico che si aggirava per l’Europa, Saadi Gheddafi. L’allora trentenne rampollo della squadra-famiglia del colonnello Muhammar, tesserato dal Perugia stabilì un primato forse insuperabile: «il primo “non-calciatore” dopato».
Il suo allenatore, Serse Cosmi, lo aveva utilizzato solo in amichevoli in campi improbabili, tipo Osteria del Gatto, per tenerlo a debita distanza dal campo. Passaggio quasi in ombra in un Perugia-Juventus, del resto Saadi era anche azionista dei bianconeri.
La punta spuntata Gheddafi jr poi venne trovato positivo (nandrolone) dopo un Perugia-Reggina: gara che aveva visto comodamente dalla panchina. «Ho usato soltanto farmaci per curare il mal di schiena», si difese. Condannato a tre mesi di stop.
Nessuno si accorse dell’assenza, tranne un portiere, quello dell’Hotel Brufani dove Saadi aveva piazzato il suo quartier generale. Dopo Perugia, anche Udinese e Samp hanno “creduto” in lui, ingaggiandolo ovviamente come “non-giocatore”.
La guerra civile del 2011 in Libia e il linciaggio mortale del padre Colonnello, hanno trasformato Saadi da meteora del calcio a prigioniero politico. Gli ultimi filmati non lo riprendono più mentre sorridente prova a fare gol, ma massacrato di botte, torturato dai miliziani. Triste finale di partita per il “non giocatore”.
Massimo Castellani