Tre flash di quella due giorni indimenticabile culminata con la sfida del 28 settembre 2005. Il primo: stadio Camp Nou allenamento di rifinitura. L’Udinese si allena agli ordini di Cosmi. Gianpaolo Pozzo è li a bordo campo, impietrito. Quasi commosso.
La squadra del suo cuore è lì a giocarsi la partita della vita, contro il Barcellona spaziale. Non ancora quello del tiki-taka, ma lo squadrone di Ronaldinho che avrebbe vinto nel maggio successivo la Champions a Wembley. Gli occhi del paron dicono tutto.
Ahia patron, siamo convinti di una cosa: quanto rigiocherebbe quella partita con Iaquinta? Invece il bomber emergente, che aveva appena fatto tripletta al Pana e che il presidente Laporta nel pomeriggio ci aveva definito «un gran giocatore buono anche per il Barça» era fuori per punizione, roba di contratto non rinnovato. Fu quello il primo scricchiolio d’una stagione partita trionfale e finita quasi all’inferno.
Leo Messi cerca di sfuggire a Vincent Candela in Barcellona-Udinese di Champions League il 27 settembre 2005.
Secondo flash: sala stampa del Camp Nou, una specie di piccolo teatro. Mezz’ora prima delle parole dei mister c’è una folla. Che accade? Conferenza stampa perché un tale Leo Messi, 19enne, ha appena ottenuto la cittadinaza spagnola. Ergo: potrà giocare nella Liga e in Champions. Qualche mese dopo avremmo compreso il perché di quella ressa…
Terzo ricordo: il più indelebile. La partita è finita 4-1, l’Udinese è stata spazzata con tre reti di Dinho e una di Deco, Felipe si è riempito di gloria pareggiando la partita al 24’ e Cosmi s’è precipitato come un ragazzino a chiedere la maglia al “dentone”. E lassù quello spicchio di seimila, seimila, tifosi canta a squarciagola: “La gente come noi non molla mai”. Come fai a dimenticartelo?
Messaggero Veneto