Il portiere è in stato di grazia. Ma non è un perfetto sconosciuto. L’ultimo uomo che, domenica 5 febbraio 1978, spegne i sogni calcistici (e non solo) del Taranto, è un signor portiere: Alberto Ginulfi, per anni il secondo della Roma, prima di diventare colui che riuscì a parare un rigore al grande Pelé, in una amichevole dei giallorossi contro il Santos. Ma nella domenica della quale ci stiamo occupando – campionato di serie B – difendeva la porta della Cremonese. Sì, era anche stato fortunato: due volte la palla era andata a sbattere sul palo. E addio gol. A proposito, c’è stato un tempo, a Taranto, in cui, non appena si pronunciava la parola gol, c’era sempre di mezzo lui, il campione, il “Signor mezzo miliardo”. Tanto era stato pagato, nell’autunno del 1976, dal presidente del Taranto calcio, Giovanni Fico, che l’aveva prelevato dal Mantova, in serie C.
Il campione, l’uomo dei nove goal segnati in poco più di cinque mesi di quel magico e maledetto campionato ’77-‘78, l’uomo alto 1,74, ma che saltava più di tutti se c’era da colpirla di testa, e che ricordava vagamente Beppe Savoldi – per l’aspetto, ma soprattutto per il modo di giocare – si chiamava: Erasmo Iacovone.
Nella Triestina.
Mito per sempre nella Città dei due mari. E da sillabare sugli spalti col più sbrigativo e affettuoso: Iaco. Pochi attimi dopo quella partita sfortunata contro la squadra lombarda, musi lunghi e poca voglia di parlare tra i rossoblù.
Iacovone nel Carpi.
“Erasmo si rammaricava del fatto di non aver segnato, nonostante avesse colpito due volte il palo. Aveva voglia di dimenticare subito la partita, distraendosi un po’. Mi chiese allora se volevo recarmi con lui in un locale fuori città: c’era uno spettacolo dell’attore Oreste Lionello. Ma non ci andai, e lui se ne andò da solo, con la Diana 6, l’auto di sua moglie Paola. Questa cosa, ancora oggi, mi fa stare male e mi rattrista”, dice Franco Delli Santi, centrocampista di quel Taranto che stava pian piano conquistando posizioni, fino alla terza piazza: un posto in serie A. Il sogno di ogni calciatore. Figuriamoci per la città di Taranto. Che in A non c’era mai stata, né ci andò mai.
Lo stacco imperioso di Iacovone, calciatore di classe ma molto umile.
“Va bene, Erasmo, stai segnando goal a grappoli, ma se dovessi giocare in A, ce la faresti a ripeterti: quello è tutto un altro calcio…”. E Iacovone, tranquillo e sereno come sempre, risponde: “Se un calciatore riesce a segnare in B, in questa categoria, può farcela benissimo anche nella massima serie. Io la penso così”.
È il botta e risposta tra il centravanti e Clemente Salvaggio, decano dei giornalisti sportivi tarantini, che ricorda: “L’ho visto segnare a Novara il suo primo goal, di testa, con la maglia del Taranto: prese l’ascensore e volò su più in alto di tutti. Un’altra rete, importantissima, in un derby contro il Bari, non me la sono potuta godere, ma è stata colpa di Erasmo: ha fatto tutto troppo velocemente”.
A Taranto, nonostante il 6 febbraio siano passati ormai quarantuno anni dalla morte di Iacovone, il nome di quel ragazzo timido e riservato, morto a soli 25 anni, travolto e ucciso da un’auto rubata – che viaggiava a fari spenti, inseguita dalla polizia, sulla strada che collega Taranto alla città di San Giorgio -, è sempre presente sulla bocca di tutti.
Messi e Ronaldo? Ma vuoi mettere ad Erasmo
E non parliamo soltanto dei tarantini che ne hanno ammirato le prodezze. Perché anche i millennials, cresciuti a Messi e Ronaldo, impazziscono al solo nome di Iacovone, continuando a gridarlo allo stadio del quartiere Salinella, ribattezzato, subito dopo la morte del mito: stadio Erasmo Iacovone. Forse perché intravedono nella figura del giocatore scomparso, la città che non hanno conosciuto, e che oggi non c’è più. Quella della fine degli anni Settanta del secolo scorso: prima a livello di reddito pro-capite nel Meridione, gonfiata da un centro siderurgico – l’allora Italsider, lontano anni luce dai problemi attuali dell’Ilva – raddoppiato, come estensione, proprio in quegli anni. Vi lavoravano quarantamila persone: quasi quattro volte di più dell’attuale forza lavoro dell’Ilva.
Con il presidentissimo Giovanni Fico.
C’è un libro, uscito lo scorso anno, “Erasmo Iacovone. Il Taranto più bello” e pubblicato da Edit@. E’ stato scritto da Davide Vendramin, un avvocato tarantino nato quasi due anni dopo la morte del campione: “Ne ho inseguito per anni il mito, conservando ritagli di giornali e vedendolo con gli occhi di chi l’aveva conosciuto”, racconta l’autore, la cui casa è sempre stata di fronte a quella di Iacovone, in faccia al Lungomare di Viale Virgilio.
Taranto non dimentica.
Erasmo, come tutti gli altri calciatori del Taranto, quando non era impegnato negli allenamenti, lo potevi incontrare tranquillamente in giro per la città. “Tra noi e i tifosi c’era un rapporto stupendo”, ricorda Franco Selvaggi, il campione del mondo di Spagna ’82, e uomo assist perfetto per Iaco, che aggiunge: “In un derby storico col Bari, finito uno a zero per noi, Erasmo realizzò un gol magico, a pallonetto: andai ad abbracciarlo e gli dissi, in maniere ironica, che quelli erano proprio i miei goal. E lui sorrise, con quello sguardo buono e dolcissimo”.
Il portiere Petrovic, Dradi e Iacovone nel Taranto.
Lo stesso sguardo ritratto in una scultura dedicata a Iacovone, realizzata in bronzo e a grandezza naturale dallo scultore e gelataio, Francesco Trani. La statua è collocata fuori dello stadio, sotto la curva Nord. È impossibile non notarla. Fermandosi a riflettere sul mito che non è mai tramontato. Grazie alle sue prodezze e all’affetto pazzesco di Taranto. Immortalato persino in un film, “Iaco”, uscito alla fine del 2016 e diretto da Alessandro Zizzo, un altro millennial che non l’ha mai visto giocare a Iacovone: “Me lo raccontava mio padre, il quale era allo stadio tutte le domeniche”, Un mito da passarsi di generazione in generazione. Così come ha pensato di fare, in tempi non sospetti rispetto ad altri evocatori di professione dell’eroe del pallone rossoblu, lo scrittore Cosimo Argentina, autore di “Cuore di cuoio”, pubblicato quindici anni fa.
Il saluto dei tarantini all’ultima partita del campione, lo scrittore lo descrive così: “Tutto lo stadio è in piedi ad applaudire i giocatori e Iacogol esce dal campo all’urlo, ‘Iaco-Iaco-Iaco-Iacovone/Iaco-Iaco-Iaco-Iacovone”.
Peppe Aquaro