Doveva rappresentare la risposta biancoceleste a Falcão, finì all’Avellino
Dic 31, 2023

Estate 1985. Il mondo del calcio è ancora sconvolto dalla tragedia che allo Stadio Heysel di Bruxelles, il 29 maggio, prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, ha visto morire 39 tifosi italiani. Il Campionato è appena stato vinto dal sorprendente Verona di Osvaldo Bagnoli. Sarà, questo, l’unico Scudetto nella storia degli scaligeri. Sono solo quattro gli stranieri che approdano per la prima volta in Italia. Gli inglesi Gordon Cowans e Paul Rideout dall’Aston Villa al Bari e gli argentini Juan Alberto Barbas e Pedro Pablo Pasculli che si accasano al Lecce. Per il resto, solo trasferimenti interni. Su tutti Michael Laudrup, che passa dalla Lazio alla Juventus, e Zibì Boniek, che lascia i bianconeri per accasarsi alla Roma.

Nella Seleção

Nel frattempo, alla prima votazione, con 752 suffragi su 977, Francesco Cossiga viene eletto nuovo Presidente della Repubblica. Mentre, il 19 luglio, in Val di Stava, una valanga di acqua e detriti si abbatte sul paese di Tesero, provocando 268 morti. Si tratta di una delle più immani catastrofi nella storia d’Italia. Sotto l’ombrellone il calcio passa così in secondo piano.

Quando arrivò alla Lazio, i tifosi coniarono questo motto: “Joao, Joao, se mejo de Farcao….”

Ad Avellino, intanto, l’11 luglio, i biancoverdi hanno presentato il nuovo allenatore. Un santone slavo fortemente voluto dal presidente Antonio Pecoriello e che nella sua carriera ha vinto campionati in serie alla guida di Hajduk Spalato, Ajax ed Anderlecht. Si chiama Tomislav Ivic ed è il terzo allenatore che approda su una panchina di Serie A in quel 1985, dopo Sven Goran Eriksson alla Roma (già giallorosso nel 1984 come DT) e Vujadin Boskov all’Ascoli come DT. Si tratta anche del terzo allenatore straniero nella storia dell’Avellino, dopo Luis Vinicio e Antonio Valentin Angelillo che l’anno prima ha ottenuto una brillante salvezza. Ivic ufficialmente è il direttore tecnico, al suo fianco siede Enzo Robotti, provvisto del patentino di allenatore.

Capitano della Lazio prima del derby, insieme al giallorosso Agostino Di Bartolomei

In quegli stessi mesi fa la sua comparsa in società Elio Graziano che rileva le quote dissequestrate di Antonio Sibilia e acquista quelle di Arcangelo Iapicca. La scalata al potere, però, viene bloccata dal presidente Pecoriello che, insieme ai soci Brogna, Minichiello e Spina, riesce a mantenere il 51% delle azioni, con Graziano proprietario del restante 49%.

La squadra che parte per il ritiro di Abbadia San Salvatore è profondamente rinnovata rispetto a quella dell’anno precedente. All’Udinese sono stati venduti in blocco Angelo Colombo, Gian Pietro Tagliaferri e, soprattutto, Geronimo Barbadillo che abbandona l’Irpinia dopo tre anni. Via anche il portiere Marco Paradisi che si accasa al Como. La cessione di Barbadillo lascia aperta la porta all’ingaggio di un nuovo straniero da affiancare al riconfermatissimo Ramon Diaz. Quella casella, però, non verrà riempita subito…

Mentre sulle spiagge italiane “l’estate sta finendo”, come cantano i Righeira, ci si chiede se tra l’Avellino e il giramondo Ivic sarà “questione di feeling”, parafrasando la celebre canzone della coppia Mina-Riccardo Cocciante. A dire la verità, la squadra non sembrerebbe nemmeno male. In porta se la giocano Nicola Di Leo e Mariano Coccia, entrambi al primo vero Campionato di Serie A. In difesa Giuseppe Zandonà è il libero, dietro lo stopper Roberto Amodio. A destra Armando Ferroni, a sinistra Romano Galvani, acquistato dalla Cremonese per la “modica” cifra di 2,8 miliardi e considerato dagli esperti il “nuovo Cabrini”. A centrocampo, al centro, la coppia composta da Paolo Benedetti, arrivato dal Genoa, e Rambo De Napoli, sempre più nel giro della Nazionale di Enzo Bearzot. Quindi Andrea Agostinelli, Franco Colomba e Alessandro Bertoni hanno il compito di fornire le cartucce all’unica punta Ramon Diaz. Il tutto senza dimenticare Salvatore Vullo, Stefano Garuti, Davide Lucarelli, Giacomo Murelli, Vincenzo Romano e un giovanissimo Angelo Alessio.

L’Avellino di Tomislav Ivić 

Le prime uscite, tuttavia, non sono esaltanti. Arrivano le sconfitte in amichevole contro Hajduk Spalato, Sarajevo e Juve Stabia, un pareggio contro il Sorrento e l’unica vittoria contro l’Arezzo.

Tomislav Ivić 

I Lupi escono anche dalla Coppa Italia al primo turno dopo aver perso (1-3) contro l’Inter.
In Campionato, la squadra di Ivic è attesa ad un debutto da far tremare i polsi in casa della Juve di Trapattoni. E, infatti, arriva subito la prima sconfitta (0-1). Alla seconda, però, ecco la vittoria al Partenio contro il Verona Campione d’Italia (3-1). Poi due sconfitte a San Siro, prima contro l’Inter (1-3) e poi contro il Milan (0-3). Alla quinta giornata, pareggio interno (2-2) contro l’Udinese degli ex. Dopo cinque giornate la panchina dello slavo è già a rischio. Non tutti, nello spogliatoio, credono nella zona predicata dal tecnico. Alla sesta, tuttavia, arriva la vittoria (1-0) contro la Roma al Partenio e, una settimana dopo, il primo pareggio esterno a Pisa (1-1). La situazione torna a precipitare all’ottava giornata dopo il crollo interno contro il Como (1-4). È allora che la società decide di correre ai ripari ed acquistare così il secondo straniero.

In Brasile nell’ Internacional di Porto Alegre

La scelta ricade sul brasiliano Joao Da Silva Batista che arriva ad Avellino dopo due campionati non certo esaltanti nelle file della Lazio. L’ultimo addirittura chiuso con la retrocessione in Serie B. Eppure, sulla carta, il brasiliano è un buon centrocampista di interdizione, capace di aiutare la propria squadra in fase difensiva, ma anche di non disdegnare lanci a lunga gittata per dare slancio alla manovra. Può contare, inoltre, su un curriculum di tutto rispetto: tre campionati vinti in Brasile (1975-1976-1979) e 38 presenze nella Nazionale verdeoro con cui ha già disputato due Campionati del Mondo. Nel 1978 in Argentina è addirittura titolare, giocando tutte le sette partite del torneo che permettono al Brasile di classificarsi al terzo posto nella manifestazione. Nei mondiali spagnoli del 1982 Batista è un rincalzo, ma ha davanti a sé veri mostri sacri del calibro di Falcão, Socrates e Cerezo. Pur giocando pochissimo, in Spagna, riesce comunque a far parlare di sé. E’ proprio lui, infatti, la vittima dello sciagurato intervento falloso di Diego Armando Maradona in Brasile-Argentina 3-1 del 2 luglio, nel girone di semifinale. Diego si becca un meritato cartellino rosso, mentre Batista porterà i segni del martirio per molto tempo.

Con la maglia dell’Avellino

Di fatto, avrebbe tutto per sfondare in Italia. Eppure nella Lazio non ha brillato. Qual è il problema, vi starete chiedendo? Ebbene, nel 1983, quando i biancocelesti lo acquistano dal Palmeiras, per farne “l’altro Falcão” di Roma, gli unici ad essere soddisfatti sono i gestori di pub e locali notturni della Capitale. La vendita di alcolici, infatti, ben presto si impenna. Batista diventa il protagonista assoluto della dolce vita romana. Capelli lunghi fin sulle spalle, barba di due giorni, occhi a mezz’asta, viso tipico di chi ha dormito poco, sapore di whisky in bocca e sigaretta perennemente accesa. Il volante brasiliano sembra un attore più che un calciatore. Centrocampista pesante più che pensante, Batista si gode tutto di Roma. Non perde occasione per omaggiare belle donne e gustare il buon cibo. È con queste premesse, tutt’altro che incoraggianti, che, a novembre, sbarca in Irpinia. Certo. Ad Avellino non c’è la bella vita romana, ma in fondo con un po’ di buona volontà la sera qualche divertimento lo si trova sempre…

Alla nona giornata, ingaggiato il brasiliano, la squadra di Ivic batte 2-0 la Sampdoria a Genova. Arrivano poi cinque punti in sei partite. Alla fine del girone d’andata l’Avellino ha 13 punti, uno solo in più del Como quart’ultimo. Intanto, il 28 dicembre, Elio Graziano viene eletto ufficialmente nuovo presidente. L’Avellino comincia il girone di ritorno con un pareggio (0-0) contro la Juve. Seguono la sconfitta di Verona (0-2), la vittoria interna contro l’Inter (1-0) e il pareggio, sempre al Partenio, contro il Milan (1-1). Risultati comunque di prestigio. Eppure la continuità non è nelle corde di questa squadra. Ben presto, infatti, arrivano due sconfitte pesanti contro Udinese (1-3) e Roma (1-5). Per Ivic è l’inizio della fine.

Nella neve di Avellino

L’esonero arriva al termine del pareggio in casa contro il Pisa (1-1). La squadra viene affidata a Robotti. Lo slavo lascia l’Avellino in quartultima posizione con un punto di vantaggio sull’Udinese. La classifica recita Avellino 18, Udinese 17, Bari 15 e Lecce 12. I tifosi scendono in piazza per contestare Graziano e i dirigenti, colpevoli della crisi. Si parla di un rapporto ormai logoro con i calciatori, ma il reale motivo dell’allontanamento di Ivic è la sua scarsa malleabilità. Nelle restanti otto gare, con Robotti in panchina, i Lupi collezionano 9 punti decisivi per raggiungere la salvezza con una giornata d’anticipo. La permanenza matematica in Serie A arriva dopo la vittoria di Bari (1-0) con una rete di Diaz. Sarà l’ottava salvezza consecutiva nella massima serie. L’ultima di Campionato si chiude con la sconfitta interna contro il Napoli (0-1). L’Avellino conclude la stagione al 12° posto con 27 punti.

Il nostro Batista, nel frattempo, fin dal suo arrivo in Irpinia è tormentato da una serie di problemi fisici che lo condizionano non poco. Collezionerà 14 presenze con un solo gol. L’unica marcatura arriverà a Lecce alla 26esima giornata, dopo meno di sessanta secondi dal fischio d’inizio. La partita terminerà sul risultato di 2-2. Di fatto, per il brasiliano, che avrebbe dovuto ripercorrere le orme di Paulo Roberto Falcao, si tratterà dell’ennesimo campionato scialbo in Italia, dopo quelli vissuti nella Capitale.

Al termine della stagione “il nostro” saluta la compagnia e fa ritorno in Brasile. Prima, però, giusto qualche mese in Portogallo con la casacca del Belensenses. Quindi l’Avai, club della città di Florianopolis. Di fatto, il brasiliano era l’uomo dei vizi.

Soprattutto un bevitore, capace di alzare il gomito il sabato notte e di giocare la domenica a pallone con discreti risultati.

Mediano o centrocampista di rottura, abile nell’aiutare i compagni quando c’era da far legna ma tutt’altro che sprovveduto nella costruzione e nello sviluppo della manovra. Possedeva un poderoso tiro dalla distanza. Chissà dove sarebbe arrivato se si fosse comportato da professionista esemplare. Resterà un mistero.

Raffaele Tecce

Per le foto in maglia laziale, si ringrazia LazioWiki

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