L’assurda morte di Re Cecconi
Gen 18, 2024

Per Luciano Re Cecconi è l’inizio della sua quinta stagione nella Lazio. Durante la partita s’infortuna ad un ginocchio e, zoppicante, abbandona il campo dello Stadio Olimpico. Nessuno può immaginare che il biondo centrocampista ha appena indossato, per l’ultima volta, la maglia che più di tutte gli ha dato gioie calcistiche, arrivando a vincere lo scudetto e venendo convocato più volte in Nazionale.

Con lo Scudetto cucito sulla maglia della Lazio

Sembra essere un infortunio di poco conto, di facile guarigione, dove basta restare fermi un po’ di tempo. In un mese torna ad allenarsi, ma proprio in questa delicata fase subisce una dolorosa ricaduta, rischiando addirittura l’intervento chirurgico. Luciano non si dà per vinto e, grazie alla sua forza di volontà, recupera a vista d’occhio.

“L’Unità” e la morte di Re Cecconi


Si allena solitario al Flaminio dove riceve anche la visita del suo amato allenatore Maestrelli ormai consumato dal ritorno del male che lo porterà di lì a pochi mesi alla scomparsa prematura. Martedì 18 gennaio 1977: gioca finalmente per intero la partitella d’allenamento con il resto della squadra. È felice, corre verso il dottor Ziaco e gli confida: “Va meglio dottore, mi sento pronto. Domenica a Cesena sono convinto che giocherò, facendo rimanere tutti a bocca aperta”. E’ praticamente pronto a rientrare in squadra quando, la stessa sera, mentre il telegiornale della Rai (allora unico tg nazionale) chiudeva l’edizione serale, arrivò la notizia che il centrocampista della Lazio e della Nazionale era morto in una gioielleria a Roma mentre era in compagnia di altri compagni di squadra. Si pensò inizialmente ad una rapina finita tragicamente, invece la morte del forte centrocampista fu dovuta ad un tragico scherzo finito nel sangue.
Quella sera di gennaio Luciano è in compagnia di Pietro Ghedin e Renzo Rossi. I tre incrociano Garlaschelli e lo invitano ad unirsi a loro per una serata a cena fuori. L’ala declina l’invito e va via. Anche Rossi deve sganciarsi per fare delle commissioni. Re Cecconi e Ghedin vanno da un loro amico comune, Giorgio Fraticcioli (titolare di una profumeria), per passare un po’ di tempo scambiando due chiacchiere. Il negoziante li invita ad accompagnarlo da un cliente a cui deve consegnare dei flaconi in una gioielleria di via Nitti a Roma, nel quartiere Flaminio. I tre entrano poco prima dell’orario di chiusura, intorno alle 19,30. Il carattere estroverso di Luciano gli suggerisce uno scherzo che si rivelerà tragico anche perchè il clima sociale del periodo non è certo dei migliori. All’ingresso si presenta col bavero alzato esclamando: “Fermi tutti questa è una rapina”. Il gioielliere, Bruno Tabocchini, non lo riconosce anche perchè Re Cecconi ha il volto parzialmente coperto e tiene una mano in tasca simulando una pistola. Il calciatore è così scambiato per un rapinatore ed il gioielliere estrae una pistola che teneva in negozio perchè già vittima di diverse rapine e spara immediatamente.

Il gioielliere Bruno Tabocchini nei giorni del processo (foto Ansa)
La ricostruzione dei fatti


Re Cecconi, colpito in pieno, cade mormorando: “Era uno scherzo, era solo uno scherzo”. Ghedin fa in tempo ad alzare le mani e farsi riconoscere. Poi si gira verso il compagno dicendogli di alzarsi perchè lo scherzo è terminato, ma si accorge del sangue che esce dal torace del compagno. Il dramma è compiuto. Qualcuno ferma una pattuglia della polizia che, a sirene spiegate, lo porterà al San Giacomo dove arriverà ormai morto. Sono circa le 20 e neanche mezz’ora dopo l’atroce fatto, il calciatore muore lasciando nel dolore non solo la tifoseria laziale, da cui era adorato, ma l’intero modo sportivo italiano. Luciano lasciava così, a soli 28 anni appena compiuti, la moglie Cesarina ed il figlio Stefano di due anni (Francesca nascerà dopo pochi mesi). La notizia si sparge in un’attimo. Accorrono i compagni di squadra ed il presidente Umberto Lenzini pietrificati dal dolore. Felice Pulici è l’unico a vederlo all’obitorio, nudo con un piccolo foro del proiettile che gli è penetrato nel cuore. Gli altri non ce la fanno. Ghedin è in preda alle convulsioni in stato di shock. Solo dopo ore riuscirà a fare una deposizione alle autorità giudiziarie raccontando i fatti.

Tabocchini venne arrestato ed accusato per “eccesso colposo di legittima difesa”. Processato per direttissima 18 giorni dopo, venne assolto per “aver sparato per legittima difesa putativa”.

Re Cecconi con la moglie Cesarina

Per una delle tante ironie del destino che spesso gioca beffardamente con la vita, Luciano Re Cecconi era uno dei pochi, se non l’unico giocatore della rosa laziale del tempo, a non possedere un’arma da fuoco. I funerali si svolsero presso la basilica romana di San Pietro e Paolo all’Eur a cui prese parte una gran folla. Le sue spoglie vennero poi tumulate nel cimitero di Nerviano (Mi).

Un articolo del “Guerin Sportivo” sullo sceneggiato-inchiesta (archivio LazioWiki)

Il 30 gennaio 1977, alla ripresa del campionato, la Lazio è di scena a Cesena e nel minuto di raccoglimento decretato dall’arbitro Agnolin, un trombettiere solitario intona il silenzio dalla curva locale in uno stadio che rimane immobile per la commozione. Scrisse Giorgio Tosatti: “La morte di Re Cecconi rappresenta un dramma cui nessuno può sentirsi estraneo: è la folgorante testimonianza della nevrosi nella quale viviamo. Di queste nevrosi si trovano prove anche nei commenti della tragedia: il cinismo si sostituisce alla pietà, la riprovazione per la stupidità dello scherzo è superiore allo sdegno per il modo in cui è stata stroncata la vita di un uomo”.


Enrico Albertosi, Luciano Re Cecconi e Gigi Riva con la Nazionale ai Mondiali del 1974 (foto Ansa)

Nel libro “Lui era mio papà” edito nel 2008 e scritto dal figlio Stefano, questa versione dei fatti viene ritenuta poco credibile da Martini e D’Amico che hanno sempre ritenuto che Re Cecconi con gli estranei avesse sempre mantenuto un comportamento riservato. Inoltre non è da dimenticare il fatto che il Tabocchini pochi mesi prima aveva sparato a due rapinatori ferendoli. La verità su quella tragica sera forse è stata un po’ diversa da quella che si è sempre sostenuta, ma non è stato ancora possibile (o voluto) appurarla con certezza.

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