Vieux diable
Ott 6, 2023
Gabetto in azione alla Juventus nella stagione 1938-’39

Di famiglia umile della Borgata Aurora, il torinesissimo Guglielmo Gabetto, nato nel 1916, giunge 18enne alla Juventus, sul finire del periodo d’oro del Quinquennio. Ha un modo di fare scanzonato e simpatico, autentico uomo-spogliatoio. Ha il vezzo di impomatarsi i capelli con la brillantina, a imitazione del compagno di squadra Orsi, e questo comportamento lo fa battezzare come “il Barone”.

Un bel gesto atletico di Gabetto con la maglia azzurra della Nazionale

Con i bianconeri gioca 7 stagioni, disputando 191 partite e segnando 102 reti ed entrando nella Top 10 dei marcatori juventini. In bianconero vince un campionato e una Coppa Italia. Viene inopinatamente ceduto al Torino nel 1941 dall’allora presidente juventino Piero Dusio, che lo ritiene ormai sul viale del tramonto e crede di fare un ottimo affare: viene infatti pagato dal presidente granata Ferruccio Novo ben 330.000 Lire dell’epoca.

Con la maglia torinista gioca 219 partite segnando solo in serie A 122 reti (in totale con il Torino realizza 127 gol, ed è attualmente il querto marcatore di ogni tempo). Vince cinque campionati e una Coppa Italia, prima di perire con il resto della squadra del disastro aereo di Superga.

Gabetto al Torino

Conta anche 6 presenze in Nazionale, con 5 reti segnate.

Curiosamente, all’indomani dell’acquisizione torinese – come ha sottolineato Stefano Budicin su “Toro News” – tutti lo considerano un giocatore al tramonto, malgrado l’età: ha infatti appena venticinque anni. Vi è che comunque il suo passato bianconero lo qualifica come uno tra i migliori attaccanti italiani dell’epoca. E questo basta già a rassicurare i dirigenti e a esaltare i tifosi.

Il suo percorso agonistico con i granata gli fa guadagnare il soprannome “Gabe”. Le sue reti, spesso ai limiti delle possibilità umane per come vengono realizzate, gli valgono l’appellativo di “Santa Rita dei goleador”.

Vederlo giocare i derby è una meraviglia, perché è in quei momenti che Gabe si accende e dà il meglio di sé. A fine carriera si pensa che abbia stretto un patto con il demonio. Siamo nel 1949 e Gabetto non mostra segni di cedimento. Corre come sempre, schiva, scatta, si concede impensabili acrobazie. Per questo la gente lo chiama anche le vieux diable, appellativo scherzoso che muove dalla sorpresa di vedere un giocatore veterano come lui capace ancora di simili atletismi. Gabetto stesso non vuole saperne di mollare. Al punto che se non fosse stato per il disastro di Superga, il Gabe avrebbe potuto continuare per qualche anno ancora.

Accanto alle leggendarie gesta sportive dgli Invincibili c’era ovviamente la quotidianità. Il Vittoria era il bar di Gabetto e del compagno di squadra Franco Ossola, coe ricorda Jacopo Formia.

Il “Bar Vittoria” a Torino

Detto Gabos, era situato in pieno centro al Torino. I due calciatori, che erano molto amici anche nella vita privata, lo aprirono nel ’48. Diventò ovviamente un luogo di ritrovo e un covo per i tifosi granata. Nel maggio di quell’anno, quando la Nazionale inglese soggiornò nel vicino Hotel Principe di Piemonte prima di disputare una partita contro l’Italia, il locale rimase aperto senza sosta per due giorni e due notti. Ci fu un continuo via vai di appassionati di calcio, giornalisti e anche degli stessi calciatori inglesi. I quali andarono a scambiare quattro chiacchiere e non solo con i calciatori del Toro che avrebbero poi affrontato in grossa parte il giorno seguente.

Gabetto nel “Grande Torino”, orgoglio d’Italia

Il bar fu da subito un punto di riferimento. Gli stessi Gabetto e Ossola quando erano liberi da impegni sportivi andavano al Vittoria. Non stavano però molto nella parte riservata al pubblico, ma andavano nella cantina con la scusa di fare i gelati. In realtà andavano a giocare lunghe partite di poker, durante le quali Gabetto tirava fuori tutte le sue abilità da giocatore incallito e spennava il “pollo” di turno, che molto spesso era l’amico Ossola.

Dopo il 4 maggio del 1949, il bar rimase aperto ancora per qualche mese ma poi chiuse i battenti.

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