Socceroos, il primo Mondiale della storia dell’Oceania
Giu 22, 2023

Un tempo, l’Australia era nota come il Nuovissimo Mondo: un’isola sconfinata posta ai più remoti confini del pianeta, e ancora sostanzialmente disabitata; dopo essere stata per anni la colonia penale della Gran Bretagna, si evolse nella terra di rifugio di molti poveri e diseredati della Vecchia Europa, in cerca di una nuova America. Furono loro a condurre i Socceroos al primo Mondiale della storia dell’Oceania. Di questa impresa ce ne parla Valerio Moggia,

L’aborigeno Harry Williams, in mezzo agli scozzesi Jimmy McKay e Jim Rooney, con la maglia della nazionale australiana, nel 1974.

Il calcio, laggiù, era sempre stato subordinato al rugby; perfino le partite internazionali venivano disputate esclusivamente contro i rivali storici dei Wallabies, Sudafrica e Nuova Zelanda. Ma nel secondo dopoguerra, con la nuova ondata migratoria dall’Europa, il soccer iniziò veramente ad avere un ruolo in Australia, con gli immigrati che fondarono dei club che erano molto più che società calcistiche: erano i punti d’incontro delle rispettive comunità, ne custodivano l’eredità culturale in terra straniera. Il primo fu un club italiano, la Juventus Adelaide, nel 1946, oggi nota come Adelaide City, ma molti altri lo seguirono, nel corso degli anni Cinquanta: i macedoni del Preston Makedonia Soccer Club, ora Preston Lions; i croati del Soccer Club Croatia (attuale Melbourne Knights) e del Sydney Croatia (oggi Sydney United); un altro club italiano, il noto Marconi Stallions, poi rinominato Marconi Sydney; i greci del Pan-Hellenic Soccer Club (che vent’anni più tardi diventerà Sydney Olympic) e del South-Melbourne Hellas; gli ungheresi del St. George Budapest, che fuggivano dalla repressione sovietica; i cecoslovacchi del Sydney Prague.

Sulle figurine Panini

È logico che siano stati gli anni Cinquanta l’epicentro del calcio australiano: se, da un lato, andavano formandosi le comunità di immigrati europei che poi avrebbero dato vita alla precorritrice dell’A-League, dall’altro nel 1956 la nazionale aveva preso parte (in qualità di paese organizzatore) al suo primo importante torneo di calcio durante i Giochi Olimpici di Melbourne, eliminando il Giappone e poi cedendo per 4-2 all’India. Ma fu negli anni Settanta che il calcio australiano acquistò finalmente rilevanza internazionale, grazie alla sorprendente qualificazione ai Mondiali tedeschi del 1974 ai danni della Corea del Sud.

I ventidue convocati più commissario tecnico dei Socceroos per la Germania Occidentale contavano sette giocatori nati nel Regno Unito (il portiere scozzese Jack Reilly; i difensori inglesi Peter Wilson e Dave Harding; i centrocampisti Jim Rooney e Jimmy McKay, scozzesi entrambi, e Peter Ollerton, inglese; e l’attaccante, anch’esso inglese, Adrian Alston), cinque provenienti da paesi slavi (il difensore serbo Dragan “Doug” Utjesenovic e i croati Jim Milisavljevic, di ruolo portiere, Ivo Rudic, centrocampista, e Branko Buljevic, attaccante; più l’allenatore serbo Ralé Rusic), un tedesco (il difensore Manfred Schafer) e un ungherese (Attila Abonyi, schierato come attaccante), oltre al difensore Harry Williams, primo aborigeno a giocare in nazionale.

Johnny Warren in campo coi compagni per l’allenamento, prima di un match della Coppa del Mondo 1974

Cinque giocatori del St. George, tre giocatori del Pan-Hellenic, due del Marconi, due del Hackoah Sydney, la squadra ebraica della capitale. Nessuno che giocasse al di fuori del campionato locale, nonostante alcuni avessero avuto esperienze giovanili in Inghilterra, come Colin Curran, che era passato dal settore giovanile del Manchester United, ed Ernie Campbell, che aveva militato in quello del Chelsea. Non c’erano professionisti, e avevano tutti dovuto chiedere qualche settimana di ferie dal lavoro per poter partecipare al Mondiale.

Una fase della sfida contro la Ddr: gli australiani cercano di fermare Sparwasser

In mezzo a tutti loro spiccava uno dei pochi australiani di lunga discendenza, la mezzala trentunenne Johnny Warren, detto Captain Socceroo, in forze al St. George Budapest e, all’epoca dei Mondiali, già prossimo al ritiro dal calcio giocato. Warren ha incarnato il simbolo del soccer australiano, sia per il suo carisma in campo sia per il suo impegno nella promozione del calcio nel proprio paese. Essere un calciatore in Australia, a quei tempi, voleva dire confrontarsi con i pregiudizi di un paese che riteneva il calcio non solo uno sport minore (poco seguito, poco competitivo per via di un campionato disorganizzato, e di conseguenza poco pagato: per la spedizione in Germania, gli australiani vennero pagati appena 14 dollari ciascuno), ma che rimproverava a chi lo praticava di non essere veramente australiano o di essere un omosessuale (perché i “veri uomini” giocavano a rugby) e ovviamente disprezzava la mescolanza etnica diffusa nei club di soccer, specchio delle periferie delle metropoli di una nazione ancora razzista. Nel 2002, Warren descrisse tutta questa mentalità, insieme ad altri mali dal calcio del proprio paese, nel libro Sheilas, Wogs and Poofters.

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Schafer e Wilson in contrasto aereo, tra Jupp Heynckes e Gerd Muller della Germania Ovest. La partita sarebbe finita 3-0 in favore dei padroni di casa, poi campioni del mondo

L’Australia uscì dal Mondiale al primo turno, come era facile prevedere: fatali si rivelarono le due sconfitte subite contro la Germania dell’Est e quella dell’Ovest. Nel terzo match, però, i Socceroos si tolsero la soddisfazione di strappare un punto al Cile, la squadra del regime fascista di Pinochet che era potuta andare ai Mondiali solo grazie alla rinuncia dell’Unione Sovietica, che non volle giocare lo spareggio nello stadio di Santiago in cui il regime aveva fino a poco tempo prima toturato e ucciso centinaia di oppositori politici. Tra questi c’era anche la madre di Carlos Caszely, attaccante della nazionale e militante socialista, che all’epoca giocava in Spagna con il Levante. Ma ovviamente, tutto questo, gli australiani non lo sapevano: “Eravamo un gruppo di ragazzi che avevano lasciato il lavoro per sei o otto settimane e senza una vera coscienza politica. – spiegò poi Jack Reilly – Il nostro unico pensiero era che avevamo perso le prime due partite e non volevamo perderle tutte e tre”.

Quelle tre partite, concluse senza segnare neppure una rete, furono la rampa di lancio del calcio australiano, anche se la rincorsa fu molto lunga. Subito dopo il torneo, l’attaccante Adrian Alston si trasferì al Luton Town, nella First Division inglese, divenendo il primo australiano a giocare in un campionto europeo. In quegli anni, invece, stava letteralmente nascendo la generazione d’oro del soccer: i portieri Mark Bosnich, Mark Schwarzer e Zeljko Kalac erano nati nel 1972, così come il centrocampista Paul Okon; nel 1975 nascevano Scott Chipperfield, Josip Skoko e Mark Viduka; nel 1978, Lucas Neill e Harry Kewell; nel 1979, Brett Emerton e Vincenzo Grella. Grazie a loro, a partire dagli anni Novanta il calcio australiano si sarebbe gudagnato nuova fama e, nel 2006, sarebbe tornato a giocare i Mondiali, superando per la prima volta il girone eliminatorio.

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