La differenza di Buriani
Mar 18, 2024

Il gioco del calcio fa parte della mia vita e non ho nessuna intenzione di ritirarmi a trentun anni “. Da quella domenica di novembre sono passati otto mesi. E Ruben Buriani adesso si ritrova seduto su una spiaggia dalle parti di Cervia, curvo sotto un greve fardello di speranze e ricordi. Non è solo: lo segue il fido Rino, che di mestiere fa il bagnino. Perché servono anche le sabbiature per rimettere in piedi chi si è rotto la tibia e il perone. E Ruben deve farne due al giorno se vuole tornare a giocare.

Ruben Buriani nel 1976 con la maglia del Monza

Viene da un posto a meno di un’ora da qui, vicino Ferrara. E inizia alla Spal: “A Ferrara non giocavo perché è la mia città e non ero costato niente. Venivo dal vivaio. Figuriamoci se su duecentocinquanta bambini, potevano accorgersi di me. Logico che il commendator Mazza facesse giocare quelli per i quali aveva sborsato dei soldi. Non mi poteva vedere , continuava a ripetere che ero tropo gracile. E non aveva neanche tutti i torti. La colpa era delle tonsille. Ma tolte quelle, sono cresciuto sano e robusto . Poi mi hanno quasi regalato al Monza, inserendomi nell’affare Leban: è stata la mia fortuna”.

Ruben Buriani, neo acquisto del Milan dell’estate 1977

In Brianza c’è il general manager Giorgio Vitali che l’ha visto giocare nel torneo under ’23 e garantisce per lui. Ruben inizia vincendo la Coppa Italia. Coi suoi polmoni a mantice va in testa a tutte le classifiche di rendimento , vince la C e si ritrova al comando anche in B . Lo vogliono la Juve e qualche altra grande : “Mi sento benissimo. Intendo dire che mi sento biancorosso e non mi va proprio di ipotecare il futuro . E poi questi capelli biondi sono anche un handicap, perché se mi fermo, se ne accorgono tutti. So che ci sono richieste da squadre di A, ma non posso avere altro fine che andarci col Monza. Ormai la promozione è a un passo. E spero che i dirigenti trovino il modo di riconfermarmi. A Monza ho anche conosciuto Raffaella”.

Buriani, stagione 1977-’78

In primavera il Monza perde qualche punto , ma rimane comunque in piena corsa.

Anche se i ben informati propinano la storiella della rinuncia volontaria, dell’autosabotaggio: “In realtà Vincenzi ha preso tre giornate di squalifica e Giuliano Terraneo ha giocato subito dopo la morte della mamma. Non solo. Col Cagliari il nostro bomber Tosetto si è infortunato e io non sono al meglio, fra servizio militare e una contrattura”.

In azione negli anni Ottanta

Alle ore 16 di domenica 19 giugno 1977, il presidente del Monza sale le scalette del Braglia. Si chiama Cappelletti e ha stanziato un premio promozione astronomico. Parla coi suoi calciatori: “Ragazzi tranquilli: tra due ore siamo in serie A, la prima della storia”. Sta per cominciare Modena-Monza, l’ultima di campionato .

Serve almeno un punto per arrivare agli spareggi. Alla mezz’ora, punizione di Ruben, il portiere esce a vuoto, testa di De Nadai e palo pieno. Pochi secondi e si va sotto per un eurogol di Rimbano. Alla ripresa, il Monza si ripresenta con De Vecchi per Beruatto. Piazzato di Ardemagni, da sinistra piomba Ruben e infila tra palo e portiere: 1-1. E’ il gol che può valere la serie A.

Con Albertosi e Collovati

La partita è nervosissima , sei ammoniti. Scontro tra Bellotto e Antonelli con incursione di Bellinazzi, che rifila un cazzotto a qualcuno. Parte la mischia. E l’arbitro Menicucci si butta nel mezzo, ma alla fine non alza nemmeno un cartellino . All’ottantunesimo, la difesa del Monza va in barca e Michelazzi fa autogol. E’ la fine del sogno. Menicucci fischia tre volte e i tifosi invadono il campo. Possono così riprendere le scazzottate.

In quei momenti l’arbitro può essere un ottimo alibi per chi ha perso una promozione a nove minuti dalla fine su autogol. E Ruben decide di fare l’ultima corsa del pomeriggio: va da Menicucci . Perché in quel parapiglia ha qualcosa di urgente da comunicargli: “Noi abbiamo perduto e lei oggi è stato fortissimo. Niente da fare: non possiamo nemmeno incolpare l’arbitro”. Menicucci lo abbraccia. Ruben se ne va piangendo a dirotto come tutti i suoi compagni.

Ruben Buriani con i genitori, 1978

Si presenta al Milan di buon mattino lunedì primo agosto ‘77 . E anche per questo i bene informati, forse con minor convinzione, hanno una teoria: in realtà al Milan interessava solo Tosetto e per cederlo il Monza avrebbe imposto anche Buriani.

Peccato che Ruben fosse già per metà del Milan. C’è folla e a lui piace parlare: “Sono felicissimo. Spero di avere il posto in squadra. Io do sempre tutto. Muoio sul campo se occorre , ma non si cominci a dire in giro che è arrivato il salvatore della patria . Non sono qui per risolvere i problemi del Milan se ne ha”. “Prenderà il posto di Capello?” “Capello è un signor giocatore e io l’ultimo arrivato. E non mi dà assolutamente fastidio se si scrive che farò il gregario di Rivera . L’ho sempre fatto, correrò sempre per la squadra e correrò per Rivera. E per tornare negli spogliatoi a testa alta”.

“Guerin Sportivo”, novembre 1977

E nessuno può fare a meno di notare la fulva chioma al sole. Nemmeno Nereo Rocco. Che lo scruta e poi prepara la benedizione: “Sei davvero forte Buriani. Ma quando ti sposi?” “Sono fidanzato con una ragazza di Monza, signor Rocco. Ma non mi sposerò finchè non avrò comprato una casa ai miei vecchi e sistemato il mio esercito di sette fratelli e sei sorelle. Per la precisione, io sono l’ultimo”. E Rocco rimane zitto. Poi: “Uno che parla così è un uomo vero, uno con la testa sulle spalle”.

Buriani in gol contro la Fiorentina, a San Siro, 1977-’78

E come macchina ho ancora l’A112 : me l’ha regalata il presidente del Monza. Mi va benissimo e non penso di cambiarla. Da piccolo mi alzavo alle quattro di mattina per aiutare mio padre nei campi e so quanto ha sofferto per tirar su quattordici figli . Io scaricavo i cocomeri con i miei fratelli. Sono sempre stato abituato a lavorare, a dare agli altri”.

Giorgio Morini, Rivera, Albertosi e Buriani al ristorante “Tatum” di Ricky Albertosi, 1979

Da lì passa Nils Liedholm: “E poi Buriani è del segno dei pesci, un segno buono per i centrocampisti. Come De Sisti e Mascetti”. Un’altra benedizione. Il 18 agosto contro l’Athletic Bilbao in amichevole gli danno l’11: Ruben sfreccia, allarga e restringe il rettangolo verde come e quando vuole. E questo non ne oscura la visione di gioco. L’Athletic viene travolto 3-0. Quarantottore dopo, altri tre gol all’America di Rio e il Milan vince il torneo di Madrid. Sono i primi passi di una squadra più moderna: che tiene palla, che punta alla superiorità numerica in mezzo e manda tutti a bersaglio. Battuto anche il Barcellona di Neeskens.

Ruben Buriani, 1978

Sapientemente gestito, uno come Ruben diventa titolare inamovibile. Era abituato all’uomo contro uomo, adesso scala come l’avesse sempre fatto. Solo le sue corse continue possono rendere sostenibile la jam session dei Capello, dei Bigon e Rivera. A ottobre si va in testa al campionato: “Ruben allora, domenica c’è il derby con l’Inter” “Derby? Per me l’unico derby è Monza-Seregno. Non so neanche cosa sia”. Le ultime direttive di Liedholm, anzi del signor Liedholm: “Gioca come sai, ma cerca di tirare in porta”. Lo lascia scorrazzare a destra. Sono passati tre minuti e Ruben parte da lì, sotto la tribuna principale. Libero come il vento, spettina Facchetti e stringe. Poi esplode il mancino verso il palo lontano: 1-0.

La “Gazzetta dello Sport” del 7 novembre 1977

La sua è un’allegria che sembra nuova, di chi non sa come stancarsi. Lo sguardo è risoluto, forse un po’ sognante. Palla al centro e si dà da fare come al solito.

Fino all’altra porta ovviamente. Tanto per gradire, salva una palla sulla linea. Conclude il suo primo derby sprintando in contropiede ancora a destra. E continua a correre anche quando vede Bordon sdraiato e il pallone che s’infila accanto al primo palo:  “Due gol in una partita non li avevo mai segnati. Anche se sto correndo meno rispetto al Monza. Sono contento perché gioco nella mia posizione: scendo sulle fasce laterali partendo dal centro . A vedermi c’erano alcuni dei miei fratelli, ma i consigli del signor Liedholm mi hanno dato la tranquillità”. Rivera esce dal campo in trionfo, sotto braccio al suo gregario specializzato.

Nel 1979 nella nazionale sperimentale che a Bologna affrontò l’Urss. I giocatori portano il lutto al braccio per la morte di Nereo Rocco

Ma Ruben non si piega. Non indulge alla retorica dell’entusiasmo . Ci tiene e sa che dipende soltanto da lui : “Il lunedì me ne vado a casa mia, vicino Ferrara. Ci sono i miei tanti parenti, ci sono i ravioli. E i miei dischi degli Aphrodite’s Child. Solo così mi sento pienamente a mio agio. Non leggo nemmeno i giornali . Sto cercando di diventare l’ideale completamento del gioco di Rivera, ma so che ci sono degli alti e bassi nel calcio. Come nella vita”. Brera lo suggerisce a Bearzot . Due giorni dopo Natale, Ruben si rompe un dito della mano.

In compagnia di Maldera, Bordon, Collovati e Oriali, 1979

Gliela steccano. Curiosamente, senza lui, il Milan fa due punti in tre partite : “Rientrando ho trovato una squadra diversa. Purtroppo gl’infortuni e altre coincidenze negative hanno lasciato il segno . Siamo partiti forte perché abbiamo potuto sorprendere gli avversari con Maldera . Ora questa mossa la conoscono tutti”. Il Milan scompare dalla lotta scudetto come un insetto nella sabbia. E Ruben non rientra nemmeno nella lista dei quaranta per l’Argentina. Il finale di campionato serve per acquisire un nuovo tassello: si chiama Franco Baresi. E con gl’innesti di De Vecchi, Novellino e Chiodi, la squadra è pronta per la stella. Se ne accorgono tutti la sera di domenica 27 agosto 1978: per il torneo città di Milano si gioca Milan – Juventus. Non è ancora campionato, ma a San Siro sono più di cinquantamila. Qualche bagarino deve rientrare dalle ferie.

Ruben Buriani nella sua casa di Portomaggiore (Fe), 1977

Vantaggio con Bigon, ma pareggia Virdis. Ruben è scatenato. Rimane in avanscoperta e Benetti fa rigore: trasforma Maldera . Poi Chiodi porta il Milan sul 3-1. E accorcia ancora Virdis. A un quarto d’ora dalla fine, Ruben è il più fresco: prima sgancia un missile da venti metri che si stampa all’incrocio dei pali.

Ruben Buriani, 1978-’79

Poi cross di Novellino dal fondo, lui la gira nell’angolino: 4-2. La Juve non prendeva quattro gol in una sola partita da tre anni e tre mesi. Liddas: “Questo è il nostro anno”. Ora Ruben gioca più arretrato. Torna l’asse monzese con De Vecchi: “Devo cambiare e assumermi più responsabilità. Ma già al Monza facevo il centrocampista puro. Nessuna difficoltà ad ambientarmi. Rimango uno dotato di tiro e proverò anche a far gol“. E stende l’Avellino con un colpo di biliardo.

Buriani, 1977-’78, a San Siro

Un giorno, Rivera non ce la fa e il signor Liedholm azzarda: “Visto che da tanto tempo la maglia numero 10 non correva per il campo, l’ho data a Buriani”. Milan-Catanzaro è 4-0. Ruben si sublima a pura forza vitale: stessa maglia e 2-0 alla Lazio. Poi si passa a Firenze. “Nei test sulla resistenza del signor Liedholm sono tra i migliori. Sarei un demente se trascurassi queste indicazioni”. Quando torna Rivera , gli ridanno il numero 11. Col Verona, sei minuti alla fine: Ruben deborda , finta e strappa il rimpallo su Vignola e Trevisanello.

Da “Forza Milan!”, 1977

Poi crossa . Testa di Novellino e non li prendono più. “Vincere lo scudetto a poco più di ventiquattro anni mi ha fatto impazzire dalla gioia”.

Ruben Buriani nella “rosa” della Roma 1984-’85

Lunedì 11 febbraio 1980 c’è la chiamata in Nazionale. Ruben il giorno prima s’è fatto accorciare i capelli: “Se ne parlava già alla domenica. Prima di entrare in campo, mi ha fatto coraggio Maldera, ma non gli ho dato neanche retta. Io non avrei immaginato di giocare nel Milan, figuriamoci la maglia azzurra. Uno splendido regalo da custodire gelosamente il più a lungo possibile. Ho dedicato la mia prima convocazione a mio figlio Daniele, appena nato”.

Sembra solo un risarcimento. La sua esperienza in azzurro dura in tutto un’ora: “Non credo che la retrocessione in B del Milan mi abbia costretto a rinunciare alla Nazionale. E poi Collovati lo chiamavano . Nel mio ruolo c’era tanta concorrenza”.   Fino a quell’Inter-Napoli di novembre ‘85. Bagni era squalificato e Ruben giocava dall’inizio. Su quell’ultima palla c’è l’impatto violento con Mandorlini: “Non ho mai avuto il minimo dubbio sulla buona fede di Andrea. E poi io non l’avevo nemmeno visto. Riguardando le immagini televisive , mi sono proprio convinto che non l’ha fatto apposta. Anzi credo che lui, almeno in parte, abbia vissuto il mio dramma”. “Posso dire che la vita mi ha reso felice. Mi è andata bene. Sono italiano e per questo ho potuto fare il calciatore. Se fossi nato in Afghanistan o in Pakistan, non sarebbe stato possibile. Ho una bella famiglia, una moglie e due figli. Daniele adesso ha sei anni e palleggia già con Maradona. Però vorrei tornare perchè sono felice anche quando gioco”.

Non ci sono conti da regolare . Anche se la sua faccia non può essere più la stessa.

Trattiene il fango dei campi in cui ha giocato, le botte che ha preso: “La grande gioia è stata quando ho cominciato a camminare senza stampelle. Da allora sto contando i giorni che mi separano dal momento in cui scenderò nuovamente in campo. Il muscolo è ricresciuto e ora si tratta di dargli il giusto tono , cosa che sarà possibile soltanto con la ripresa della preparazione in pieno e col pallone . Il medico del Napoli mi ha promesso che posso farcela, cento per cento. Ma guarire completamente dipende da me, dalla mia forza interiore. Io ho sempre lottato e continuerò a lottare, stavolta con qualche motivazione in più. Dovrò allenarmi duramente per farmi trovare pronto nel momento in cui il Napoli avrà bisogno di me. Anche a Roma con Falcao, Cerezo, Ancelotti e Giannini sembrava che non dovessi giocare e invece ho fatto ventiquattro gettoni. Perché nel calcio, come nella vita, non c’è nulla di precluso”.

Buriani nel Napoli

E il suo grido di dolore viene prontamente ascoltato. Un mese dopo, da Napoli parte una raccomandata con ricevuta di ritorno: la società risolve anticipatamente il contratto. “Lo considero un comportamento senza un briciolo di umanità, contrario alle norme più elementari del vivere civile. Perché la mia carriera è stata interrotta e compromessa proprio giocando per il Napoli e non per diletto personale. Mi ero ripromesso di fare buone cose a Napoli. Mi dispiace non essere stato di parola, ma non è stato per colpa mia. Non mi hanno dato nemmeno la possibilità di parlare con un responsabile“. Lo chiama la Spal, dove tutto è cominciato.

Nella Spal 1987-’88

Lui corre di nuovo, applausi. E questo è davvero un risarcimento: “So che potrò giocare ancora per poco. Ma quando smetto, voglio rimanere nel calcio e lavorare con i giovani. Mi rivedo in tanti di loro. Poi un taccuino e una penna”. Un giorno è alla Salernitana a fare il team manager. Gli squilla il cellulare. E’ il Milan . E gli chiede Gennaro Gattuso.

Ernesto Consolo

Da Soccernews24.it; per la scelta fotografica si ringrazia Magliarossonera.it

Condividi su: