Un impero costruito sui cross
Mag 2, 2022

È stato il più pagato non il migliore: il calcio in vetrina, bello da vedere, con e senza pallone, David Beckham. Continuerà a centrare gong e cestini negli spot, ma lascia il campo, si ritira. Quando ha trovato il tempo per giocare lo ha fatto persino bene. È sempre stato così: con un piede in campo (il destro) e il resto (del corpo) negli spot.

Nel Manchester United

Annunciando il suo ritiro pone fine al suo nomadismo di lusso, non facevi in tempo ad abituarti alla sua faccia con una maglia che te lo ritrovavi in un’altra, con un taglio di capelli diverso, un nuovo tatuaggio e una nuova clip pubblicitaria. Ultima stazione Paris Saint Germain, con biglietto devoluto. Ora ha detto basta. In fondo il suo tempo di gioco era diventato pari a quello di apparizione negli spot, pochi minuti, il tempo di prestare il corpo al prodotto, tirare una punizione, farsi vedere, senza sottilizzare. Negli ultimi anni è stato più in aereo e su “Forbes” e “Time” che sui campi di calcio.

Galactico

Perché David Beckham è un calciatore che ha dribblato tutto, troppo in fretta, e sposando una ex Spice Girls, Victoria Adams, ha deciso di farne anche un progetto economico, trasformandosi in un calciattore. Ogni suo gesto – da quando entra nella scuola calcio di Bobby Charlton – sembra portarlo non da una porta all’altra ma da una porta a uno degli Studios, e oggi a rileggere il duro giudizio che diede George Best, sembra un ritratto scritto stando nei 140 caratteri di Twitter: «Non sa calciare col piede sinistro, non sa colpire di testa, non sa contrastare e non segna molto. A parte questo, è a posto». È un ritratto impietoso, che non rende giustizia al ragazzino di Leytonstone che realizzò il sogno del padre (che lo allenava al Brimsdown Rovers, quando aveva 15 anni) giocando nella squadra del cuore: il Manchester United (c’ha giocato 12 anni), con la quale ha vinto tutto. Indossando la maglia che fu di Cantona.

L’esperienza al Milan

Se è vero che ha segnato poco è altrettanto vero che i suoi cross erano dei passaggi in prima classe che portavano a gol sicuri, come nella finale di Champions League del 1999 contro il Bayern. Poi andò a Madrid, e lì a fargli il ritratto ci pensò Jorge Valdano: «È due persone in una: è una persona quando gioca e un’altra nella vita. Fuori dal campo, come certi uccelli della Patagonia, fa una cagata ad ogni passo. Ma durante i 90′ mostra doti di concentrazione, buona capacità di partecipazione, abnegazione, solidarietà». Alé. Non gli faranno statue, ma nemmeno ne diranno male, hanno avuto Cassano, e in fondo Beckham sapeva tirare le punizioni. 

Negli States

Da lì andò negli Usa, al Los Angeles Galaxy, e la parte più importante della storia sono i suoi compensi esagerati, 5,5 milioni di dollari annui e il numero 23 in omaggio all’idolo Michael Jordan. Di solito l’America è il paradiso per i giocatori pigri e di quelli finiti, lui no, si rimette in gioco, dopo un infortunio al ginocchio tra l’altro, viene a giocare al Milan, e tra una sfilata e uno spot trova il tempo per crossare e persino segnare.

Il Paris Saint Germain

Per poi tornare negli Usa e dopo sulla panchina a Parigi (donando il suo compenso ai bambini bisognosi). Uno dei pochi calciatori non con un film agiografia ma con un film dove è icona: “Sognando Beckham”.

Il suo punto debole rimane la nazionale inglese, che guida da capitano: 3 mondiali e 3 europei, si ricordano pochi gol e poche partite da racconto. Maradona dirà di lui: «È talmente bello che sembra una donna. Come giocatore è bravo, ma non è una stella mondiale come vogliono far credere.

È bravo, questo sì, peccato che sia inglese». Se fosse stato meno glamour e con al suo fianco una donna normale, è probabile che parleremmo di più dei suoi gol, ma ogni volta che ne segnava uno le telecamere al posto del replay inquadravano la moglie Victoria.

In quello stacco da campo a tribuna, c’è David Beckham, più passerella che erba, più estetica che sostanza. Si è lasciato coprire di etichette fino a sparire. 

Marco Ciriello

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