Quando Zahoui era decisivo
Mar 20, 2023

Nasce dall’insopprimibile esigenza italica di tutto catalogare. Magari banalizzare. E lui finisce inesorabilmente nella categoria riservata ai Bidoni (maiuscolo) . Perché alla fine, le presenze sono poche e le reti sono zero. Ma dato che, per fortuna, le leggi del pallone non ammettono il giudizio di Dio (maiuscolo), forse François Zahoui può considerarsi solo una vittima sacrificale del rutilante calcio anni Ottanta de noantri.

Con Carletto Mazzone

E’ la fine di luglio del 1981 . François sbarca in ritardo, ma è più che scusato. Perchè gli è morto il papà. Poi inizia ad allenarsi a Colle San Marco. Si presenta: “Non sono un bomber. So smistare bene il pallone ai compagni. Spero tanto di rimanere all’Ascoli, anche se il calcio italiano è a un livello molto avanzato rispetto a quello della Costa d’Avorio ”.

Infatti per il momento François è solo in prova. E l’ultima parola spetta a Carlo Mazzone. Che lo studia un paio di giorni . Poi traccia la scheda tecnica: “Zahoui è molto ben impostato , ma voglio vederlo con una marcatura stretta addosso”.

Secondo Mazzone, il grande problema di François è il sedere: “Come tutti i calciatori africani ha questo difetto: corre col culo in fuori”. Lunedì 3 agosto si gioca una partitella in famiglia. A bordo campo si riversano in tremila . E guardano tutti François, che gioca con le riserve.

In azione con la maglia dell’Ascoli

Lui ciondola morbidamente fra metà campo e attacco. Il suo è un calcio quasi sincopato, che va solo dalla tre quarti campo in su e non prevede la rincorsa degli avversari. Testa alta, fa girare la palla, chiede triangolo. Se la prende col compagno se non gliela ridà . E strappa applausi. Poi nella ripresa passa coi titolari. La gente è inebriata dai tocchi di fino e dall’andatura sinuosa. Lo incoraggia. E François parte palla al piede, salta Mandorlini , poi altri due. Gli viene incontro il portiere: saltato anche lui e appoggio nella porta vuota sotto lo sguardo affettuosamente vigile di Mazzone.

Tutti in estasi. Mentre François rientra a centrocampo ancheggiando, tutti si rendono conto che Mazzone ha ragione: il sedere di François è in fuori. E quando arriva il momento di decidere sul tesseramento del ragazzo, Mazzone pensa ancora al sedere. Ma non a quello altrui: “Certo che lo prendiamo. Per quello che ci costa, è proprio una gran fortuna”.

Perché François ha il prezzo di una Fiat Panda.

E’ la scelta eversiva di Rozzi. Lo schiaffo al sistema. E adesso anche l’Ascoli ha lo straniero. Che non si racconti in giro che gli altri si avvantaggiano con gli importati : “François, hai conosciuto il presidente Rozzi ? ” .“Io ho visto una volta sola il presidente”. “Bene. E cosa vi siete detti ?”. “Gli ho detto buongiorno”.

L’Ascoli gli regala quattro milioni e lui li manda subito alla mamma in Costa d’Avorio: “Cosa conosce dell’Italia?” “Soltanto il Papa e Adriano Celentano”. Lo incapsulano nella stanza di un pensionato col portiere Brini e con una radio che tutte le sere gracchia qualcosa che François non riesce a capire.

Forse François Zahoui può considerarsi solo una vittima sacrificale del rutilante calcio anni Ottanta de noantri.

Ma i tifosi lo coccolano, lo acclamano ad ogni allenamento. Davanti al cancello d’ingresso dello stadio, qualcuno scrive: “Zahoui in campo”. Lui salta le prime partite perché manca il transfert. Sorride , allarga le braccia: ”Il pubblico è stato magnifico. Mi piace soprattutto quando mi chiamano Cisco .

Nel campionato francese

Altri invece continuano a chiamarmi Zigulì , che mi piace meno. Ma ho capito che c’è affetto. Adoro poi il pesce che mi prepara il ristorante di San Benedetto del Tronto. Anche se molti invitano a casa loro. Tutti cercano di aiutarmi per non farmi sentire solo. Non pensavo di trovare gente così buona . Mi vogliono bene. Mazzone mi vuole bene. E i compagni di squadra sono molto gentili con me. Mi danno continuamente dei consigli” .

Nel Toulon: notare che ha modificato la capigliatura

La sua iniziazione avviene il pomeriggio di mercoledì 28 ottobre del 1981. A Firenze , recupero di campionato. Di fronte c’è la Fiorentina miliardaria. Alla vigilia, François tiene a precisare: “Il mio modello è Giancarlo Antognoni. Perché io di solito gioco col numero 10”. E Mazzone gli dà il 16.

La Fiorentina ha bisogno della vittoria per non perdere il treno dello scudetto. Attacca, tambureggia. C’è un colpo di testa di Graziani e Brini è battuto: traversa e palla oltre la linea, ma l’arbitro non lo vede. E non lo dà. L’Ascoli resiste fino al settantatreesimo minuto, quando Daniel Bertoni cade in area: rigore per la Fiorentina.

Palla ad Antognoni. E Mazzone decide che è il momento. Chiama François. Lui si avvicina al guardalinee . Saltella sul posto, ancheggia. Poi accenna una danza. Guarda la panchina. Fa due passi indietro. Antognoni lo vede e aspetta. Tiene il pallone in mano come se non sapesse che fare. Lo appoggia sul dischetto, ma gli scivola . Si abbassa e lo rimette a posto. E’ nervoso, suda. Serra la mascella. Guarda il pallone , fermo. Poi la porta dell’Ascoli. E Brini.

Sulla panchina della Costa d’Avorio

François si avvicina alla linea laterale. Si gira ancora e mostra il numero di maglia. Poi entra in campo. Lentamente. Fischia l’arbitro . Rincorsa di Antognoni.  Tutti si aspettano la solita randellata col destro. Ma Antognoni batte centrale, con poca convinzione. Brini allunga il piede e respinge .

E Antognoni è il primo italiano della storia (inconsapevolmente) infastidito dagli africani .

Fiorentina-Ascoli finisce 0-0. I microfoni a Mazzone, ma si vede lontano un miglio che fa uno sforzo sovrumano per non ridere a quattro ganasce. Diventa asettico, quasi telegrafico: “Nessuna strategia per far innervosire Antognoni: avevo già programmato l’ingresso di Zahoui e ho deciso di farlo in un momento di pausa. Tutto qui”. Poi per non scoppiare, cede il proscenio a François. Disarmante nel suo candore: “Zahoui, perché sei andato quattro volte in fuorigioco in un quarto d’ora? “.Per perdere tempo. Me l’ha detto il mister “.

E all’esordio, François ha rovinato la giornata al suo idolo.

“So che dieci milioni l’anno di stipendio sono uno scherzo per un calciatore italiano di serie A. Ma io avevo e ho bisogno. A casa ho mia mamma che fa la parrucchiera e quattro tra fratelli e sorelle . Aspettano i miei soldi per vivere. Non posso fare altro. Non ho scelta”. La squadra fa un girone di ritorno a ritmo-Uefa. E Mazzone concede al ragazzo una domenica dall’inizio. Col Cesena in casa. Gli dà la maglia numero 8. E François lo ripaga con una buona prestazione: “Qui sto imparando a correre senza palla. Anche se comprendo con difficoltà quando si parla di tattiche, di zona. Di tutti in attacco e tutti in difesa. Al mio paese conta lo spettacolo. Invece in Italia solo  i punti”.

Quando la Costa d’Avorio di Zahoui sconfisse 1-0 la Nazionale italiana

L’anno dopo, gli toccano solo mozziconi di partita. Niente di più. E lui non fa polemiche. Poi va incontro al suo destino, volando via dall’Italia come un oggetto non identificato.   

Per avere il 10, François dovrà aspettare. Ma sarà il 10 di Michel Platini. Perché nel suo ruolo, il ragazzo diventa uno dei migliori del campionato francese. E’ lì che trova la sintesi tra bello e utile: “Purtroppo sono arrivato in Italia troppo giovane. Agli allenamenti credevo di essere un campione. Poi la domenica sedevo in panchina e quando le cose andavano male, sentivo i tifosi urlare a Mazzone qualcosa come: Perché soltanto al giovedì ci fai vedere il nostro Zigulì ? Mi sarebbe piaciuto riprovare”.

Come la storia provvede da sé a dosare le proprie coincidenze, allo stesso modo i veri valori vengono fuori. E il 10 agosto del 2010, il calcio italico si ritrova contro François. Ha fatto tanta strada . Talmente tanta , da approdare alla panchina della nazionale della Costa d’Avorio. A quasi quarantotto anni e senza conti da regolare. La giovinezza è un po’ sfiorita sulla faccia da professionista. François manda i suoi contro l’Italia di Bonucci e Chiellini, di Cassano e De Rossi.

Vince. Una lezione di concretezza proprio da lui, sintetizzata mirabilmente nel risultato di 1-0. E ovviamente alla sua maniera: senza fare rumore.

Ernesto Consolo

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