Cosa centra il pallone con la “Guerra del calcio”?
Ago 8, 2022

A luglio ricorre il cinquantaduesimo anniversario dell’inizio e della fine della “Guerra del calcio” (nota anche come “Guerra delle 100 ore”), un breve conflitto tra i paesi centroamericani di Honduras e El Salvador occorso tra il 14 e il 18 luglio 1969. L’escalation militare provocò la morte di circa 4mila persone in quattro giorni. Ma cosa c’entra davvero il pallone? Quasi nulla, in realtà. Il nome di questo conflitto armato, “Guerra del calcio”, fu coniato dal giornalista polacco Ryszard Kapuscinsky. Trattasi del titolo della sua cronaca come corrispondente sul campo: si riferisce alle partite tra le nazionali di Honduras e El Salvador per le qualificazioni ai Mondiali di calcio del 1970 in Messico, disputatisi qualche settimana prima dell’inizio delle ostilità tra i due paesi centroamericani. Ce ne parla Sofia Sanchez Manzanaro.

La formazione di El Salvador
Salvador Mariona, allora giocatore di El Salvador con in mano una foto rappresentante la squadra

La prima partita si svolse l’8 giugno nella capitale dell’Honduras, Tegucigalpa. Vinsero i padroni di casa per 1-0. Il 25 giugno si giocò il ritorno a San Salvador: furono i salvadoregni stavolta a prevalere per 3-0 portando quindi la serie alla “bella” di Città del Messico del 27 giugno.

Così sulla stampa dell’ìepoca

Il risultato di quest’ultima partita fu di 3-2 per El Salvador che si qualificò quindi per la prima volta ad una Coppa del Mondo di calcio. Le partite di qualificazione si giocarono in un clima di violenza e tensioni da ambo le parti, fomentate dai governi militari e dai messaggi d’odio lanciati sui media. Negli anni ’60, in Honduras risiedevano un gran numero di migranti salvadoregni impiegati nell’agricoltura. Nel 1969, circa il 20 per cento dei lavoratori rurali dell’Honduras proveniva da El Salvador: parliamo di circa 300mila persone.

L’Honduras
L’esultanza dei salvadoregni dopo la “bella”

La massiccia migrazione dei salvadoregni era dovuta all’alta densità di popolazione del paese, conosciuto come il “Pollicino d’America” per le sue dimensioni. In quegli anni, El Salvador contava 3,6 milioni di abitanti e l’Honduras 2,6 milioni; il territorio honduregno, tuttavia, è grande quasi sei volte quello del vicino. L’oligarchia salvadoregna controllava la maggior parte dei terreni e l’1% della popolazione possedeva il 43% delle terre coltivabili. La giunta militare locale promosse l’immigrazione verso il vicino Honduras per evitare la redistribuzione di terre tra i contadini più poveri. I campesinos salvadoregni in Honduras vivevano principalmente in zone vicine alla frontiera con El Salvador e molti di essi risiedevano in quelle zone da generazioni.

Soldati salvadoregni che pattugliavano la zona di confine con l’Honduras durante la “Guerra del calcio”, 1969
Consegna delle onorificenze post-belliche agli ufficiali honduregni

Quanto all’Honduras, qui il territorio a disposizione era molto più vasto e bisognoso di manodopera. Ma la situazione cambiò drammaticamente a causa delle pressioni degli stessi contadini honduregni, i quali avevano avanzato pure loro richieste terriere. Per risolvere la situazione, il governo honduregno passò una riforma agraria grazie alla quale furono espropriate gran parte delle terre dei campesinos salvadoregni e vennero efefttuate migliaia di espulsioni verso El Salvador. I grandi proprietari terrieri non furono danneggiati dalla riforma. “Il calcio contribuì ad infiammare ancora di più lo sciovinismo e l’isteria pseudo-patriottica e fu necessario per scatenare la guerra e quindi rafforzare il potere delle oligarchie nei due Paesi”, scrisse Kapucinsky descrivendo l’effetto catalitico del pallone nella genesi del conflitto tra Honduras ed El Salvador.

Marco Antonio Mendoza con la maglia dell’Honduras e la fotografia dell’11 di quella storica semifinale
Mauricio “Pipo” Rodríguez, l’uomo che ha segnato il gol decisivo il 27 giugno 1969

Le tensioni sociali ed economiche portarono ad una guerra che iniziò il 14 luglio 1970: El Salvador lanciò un attacco aereo verso l’Honduras. In tutta risposta, Tegucigalpa bombardò il porto di Acajutla e lo stesso giorno i salvadoregni attaccarono nuovamente il vicino. Il 20 luglio entrò in vigore il cessate il fuoco grazie all’intervento dell’Organizzazione degli Stati americani (OEA). Il conflitto non sortì altro effetto che danneggiare ancor di più le economie di entrambi i Paesi e il mercato comune centroamericano. In quattro giorni di conflitto trovarono la morte circa 4mila persone tra vittime civili e militari. Circa 80mila migranti fecero ritorno a El Salvador, stima Ernesto Garcia, presidente dell’Accademia di storia militare del Salvador.

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