Non hai mollato la presa
Mar 13, 2022

“È un uomo violento con una grande carica di rancore. È arrogante, crede di essere molto più importante di quanto non sia”. Il giudizio, diventato famoso per inquadrare il personaggio, è di Cosmin Contra.

Giri per Torino e ad un tratto chi ti capita di incontrare? Guarda là chi c’è, Edgar Davids! Oggi è l’assistente del selezionatore dell’Olanda Louis van Gaal. Prima era anche stato dirigente della Juventus, con l’incarico speciale di portabandiera della squadra torinese nel mondo. Un modo elegante che il club bianconero aveva scelto per far sì che le proprie icone rimanessero ancora nel giro.

Nella Juventus

Pitbull è il soprannome coniato da quel volpone di Louis van Gaal ai tempi dell’Ajax, perché il ragazzo non ha mai mollato la presa, è cresciuto nei quartieri non proprio rispettabili di Nieuwendam con l’amico Kluivert ed il fratello Ricardo, che ora trasporta cucine qua e là sul camioncino. Avrebbero potuto pure apostrofarlo Rorschach, come il vigilante mascherato (violento, ma con un elevato codice morale) di Watchmen, perché dopotutto sono gli altri ad essere imprigionati in campo con lui.

Figlio di Harold scaricatore di porto e di una donna delle pulizie, il piccolo Edgar ha fatto parte di quella cerchia di calciatori scartati troppe volte ai provini per evidenti limiti fisici; eppure lo potete trovare a Ho Chi Minh a dar consigli ad aspiranti nuovi talenti con gli occhi a mandorla, nelle piazze di Amsterdam tra curdi, olandesi, slavi e neri o in un parcheggio a Torino impegnato in un tre contro tre, e pazienza se i compagni non sono quei Thuram e Wiltord della gabbia Nike.

Nell’Ajax

Se siete più in e non gradite la banlieue non preoccupatevi, è facile trovare la fiabesca e videogiochesca chioma di treccine a spasso per gli immensi giardini che ospitano ogni 19 marzo il San Giuseppe di Coelho, quando lo scrittore imbastisce feste zeppe di artisti e sportivi famosi uniti alla sua famiglia e dove le preghiere al santo si mescono ai riff della Gibson Flying V di Rudolf Schenker. Davids non sorride quasi mai, porta a spasso il suo metro e sessantanove centimetri con fare da Lenny Kravitz e massima serietà dietro occhialoni scuri, che raramente si fanno fissare da vicino dai giornalisti. Per lui non ha mai fatto differenza entrare in tackle o improvvisare un elastico, rompere l’azione o snodare le esili spire tra una selva di gambe per poi calciare in porta. Davids è ancora il cattivo che legge Spinoza e guarda alla filosofia con curiosità, tra una gita col figlio ed una serata di gala con l’ex fiamma Olcay Gulsen, premiata fashion designer curdo-olandese.

Nell’Olanda

Arrivato al Milan alla corte del Maestro Tabarez nel 1996, a parametro zero dall’Ajax (con Reiziger) sfruttando la nascente Bosman, Davids fa le valigie già dopo un anno e mezzo, ceduto alla Juventus per 9 miliardi dopo un paio di fratture (mano destra, mano sinistra, tibia e perone dopo uno scontro con Bucci) e le parole al miele di Billy Costacurta, che lo definì mela marcia. A Milanello con Capello apprende tuttavia i segreti del 4-4-2 in mezza stagione, lui che ai Lancieri aveva mangiato quintalate di 4-3-3 e total voetbal di cruijffiana memoria.

Davids (al centro) in azione al Milan nel 1996, nel corso del derby di Milano

Primo olandese della storia bianconera, Davids ha la Juventus scolpita nel cuore così come lo Stadium sfoggia orgoglioso la cinquantesima stella, quella dedicata a lui. Stella che ha meritato più di Boniek, Thuram, Cannavaro, Morini e Marocchi, perché il Pitbull è sì colui che da bianconero dichiarò di non voler bere un caffè con Moggi (“Ma coi dirigenti dell’Inter sì, a patto che offrano loro”), ma ha corso su ogni pallone, dietro ogni uomo, ogni domenica o martedì che fosse.

Ha corso anche di notte, in Jaguar prima, Porsche o Ferrari 360 Modena poi, con Montero e Iuliano, e il sushi, e le discoteche, e quelle partite nei parcheggi torinesi sull’asfalto con gli immigrati, partite a cui è riuscito a trascinare un paio di volte anche Zinedine Zidane, che per non farsi riconoscere copriva la piazza con cappellino da pescatore.

Nell’Inter

Oh Zizou, con cui scoppiavano vere e proprie sfide di punizioni e giocoleria a fine allenamento. Particolare è invece l’aneddoto raccontato dall’uruguagio Montero a proposito di una sfida al Delle Alpi contro il Piacenza: entrati in campo per effettuare riscaldamento, Davids s’avvicina a Montero, timidamente, pregandolo di mantenere un tono di voce basso. “Che c’è?”, chiede preoccupato il 4 bianconero. Con Davids che replica: “Sai mica contro chi giochiamo oggi?”. Sorriso che spunta ma se ne va ricordando altri eventi, perché peggio delle Champions perse all’ultimo atto fu forse la vittoriosa trasferta di Udine del 2001, quando la pisciatina con Inzaghi nel dopo-partita gli costò 5 mesi (poi ridotti a 4) di squalifica per valori di nandrolone superiori alla soglia consentita; lo stesso steroide che quella stagione fece male pure a Gillet, Bucchi e Couto.

Nel Barcellona

L’esplosione di Appiah e qualche incomprensione a livello dirigenziale lo porteranno a lasciare Torino per Barcellona, dove giocherà in prestito per mezza stagione con l’amico Kluivert prima di approdare all’Inter, entrando così nel club elitario di chi ha militato in tutte e tre le strisciate nostrane con Ibrahimovic, Patrick Vieira, Meazza, Vieri, Cevenini III, Roby Baggio ed Aldo Serena.

Nonostante l’ingaggio pesante strappato dall’abile agente Robert Geerlings, tra pubalgia e pessimo rapporto con Roberto Mancini, in nerazzurro finirà più in tribuna che in campo, coi vari Gamarra, Coco, Zé Maria e Karagounis a fargli compagnia.

Edgar Davids: il pitbull che ha giocato in tutte le grandi d’Italia e non solo

In inglese Cabal, col significato di combriccola, gruppetto, è un vocabolo che all’Europeo 1996 andava parecchio di moda, soprattutto nel ritiro orange. Fatto descritto anche da Dennis Bergkamp nell’autobiografia (“Stillness and Speed: my story”), Davids fu cacciato dall’Arancia Meccanica dopo una frase pronunciata ad un giornalista straniero ed essersi rifiutato di scusarsi con coach e compagni: “Hiddink should stop sticking his head up other players’ arses”” (Hiddink dovrebbe smetterla di appiccicare la testa al culo degli altri calciatori); il riferimento, poco casuale, fu un po’ per Danny Blind e un po’ per i gemelli de Boer.

Lo scandalo razzismo si acuì quando un fotografo scattò un’istantanea all’ora di pranzo, immortalando due tavolate distinte tra i giocatori: una composta da soli bianchi, l’altra dai membri della cosiddetta kabel, gruppo surinamense formato da Reiziger, Seedorf, Bogarde, Kluivert e lo stesso Davids. La versione di molti reporter d’Oltremanica sta nel mezzo, poiché il dubbio resta: razzismo dei bianchi o frustrazione dei colorati per lo scarso minutaggio (Seedorf fu sostituito dopo ventisei minuti di gioco nel secondo match del girone) e stipendi abbondantemente inferiori rispetto ai veterani? Davids, che ha proseguito la sua battaglia nel corso degli anni, se l’è presa pure coi tifosi di Verona, Anderlecht (“Lo sapevo, qui un terzo delle persone vota per i partiti xenofobi”) e Roma per beceri ululati in trasferta.

E come dimenticare quella sera all’Ernst Happel Stadion di Vienna, quando vince contro il Milan di Capello l’unica Champions League del suo ricco palmarès e sul palco, con la coppa in mano, canta in negerengels (lingua parlata dai nativi surinamensi), perché la vittoria è per il Suriname. Non ne vincerà più e la coppa dalle big ears resterà una maledizione: sconfitto la stagione successiva ai rigori contro la Juventus (facendosi parare un rigore da Angelo Peruzzi), replicherà l’amaro secondo gradino del podio coi bianconeri nel 1998 nella sua Amsterdam contro il Real Madrid e nel 2003 a Manchester, nella notte dei Diavoli in paradiso.

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