Le dimissioni di Bearzot
Lug 1, 2023

Quel giorno a Santa Margherita Ligure, chi cerca il signor Enzo Bearzot, non lo trova. Un gigantesco ascesso al dente gli ha deformato quella faccia ossuta e lo ha costretto a letto. E’ il primo raduno post-Europeo della Nazionale, ci sono tutti. Lui si fa imbottire di pillole dal dentista e arriva. Anche se in forte ritardo. Sarebbe stato meglio farsi fare anche un’anestesia perché il comitato d’accoglienza è lì, pronto: “Non era meglio convocare …. “. Lui non lascia nemmeno finire : “Non hanno il curriculum”. Il vecio tira fuori sempre quella frase, dove “curriculum” sta per esperienza internazionale. I nomi che stavano per fargli erano i soliti: Bagni, Pecci, Casagrande, Beccalossi, Antonelli, Pasinato e Adelio Moro. Campeggiano da mesi su tutti i giornali. Perché la Nazionale, così com’è, ha stufato. Stessi uomini da anni e stessi discorsi. Mentre intorno è cambiato tutto : i nuovi stranieri, il nuovo presidente federale, il Milan e la Lazio in B e perfino un nuovo secondo del vecio, Cesare Maldini.

Un’espressione corrucciata di Berazot

A capo del gruppo di pressione , per quanto involontariamente, c’è Carlo Grandini del Corriere della Sera: “Della nostra rappresentativa la costante immutabile è Bearzot e lui le ha trasferito la sua immutabilità. Bearzot non deflette dalla proprio linea, nella quale il tasso di puntiglio personale sta umiliando quello di una giusta coerenza”. Dalla stampa la squadra viene descritta ormai come un vecchio animale che si trova in letargo solo per prolungare la propria vita, un mollusco al quale Bearzot sta praticando una cieca e amorevole ibernazione. Calciatori al capolinea, prevalentemente di estrazione juventina, imporrebbero la loro presenza, trascinando la Nazionale nel baratro solo al fine di perpetuare se stessi. E il tecnico imbelle non oserebbe opporsi. Fortemente indiziato Bettega, mentre Causio è quello universalmente dato per finito. Attacca anche il mago Herrera dal pulpito televisivo. Poi Gigi Riva che vorrebbe Selvaggi al posto di Altobelli. E il Corriere solleva l’ennesimo problema: anche i bambini al raduno non si divertono più. Non chiedono nemmeno gli autografi . E poi chi dovrebbe farglieli, se ce l’hanno già.

Bruno Conti nella sfida contro la Danimarca

Battiamo 3-1 il Portogallo in amichevole e il vecio toglie Causio, scegliendo però quella che chiama la soluzione interna: Graziani, Bettega arretrato e Altobelli, il nuovo, che lo ripaga con una doppietta. Non basta, gli attacchi continuano. Il vecio trascorre il suo cinquantatreesimo compleanno rispondendo alle domande: “Piuttosto che cambiare, preferisco morire con loro . Lo volete capire che tra quindici giorni cominciamo le qualificazioni per i Mondiali di Spagna? Non si possono fare esperimenti, è troppo tardi. Questo gruppo è il migliore, è una garanzia e gli Europei hanno confermato che sa giocare. Solo a voi della critica non piace. Li ho trovati tutti uniti, sereni, tutti desiderosi di confermare le loro qualità e la fiducia riposta. Abbiamo parlato come in una famiglia. Aspettate con calma e qualcosa succederà. E in Nazionale i ragazzi si sono sempre ritemprati”. Convoca per la prima volta Bruno Conti. Senza clamore . Sembra un contentino ai giornalisti . Sembra : “Con la scomparsa del centromediano metodista, in un certo senso il fantasista-faticatore è diventato il vero regista della squadra: Causio, Claudio Sala e Bruno Conti”. Giocheranno sicuro Beppe Baresi e Altobelli, due nuovi. Finalmente si è accorto delle indicazioni del campionato, dice il coro. E tiene il punto. Poi, all’annuncio della probabile formazione con Causio al solito posto , Bruno Conti in panchina e D’Amico in tribuna, riprendono le bordate. Come se i due nuovi fossero solo l’alibi del vecio per mascherare la sua resa . Lui stavolta non parla e pensa solo al debutto nelle qualificazioni. L’avversario è il Lussemburgo e sembra l’unica buona notizia.

Con il presidente della Repubblica Sandro Pertini: è tutta una questione di pipe!

Segna Collovati, sbagliamo altre occasioni. Perfino un rigore. Bettega segna un gran gol, ma quel suo calcio così garbatamente danzato non si sopporta più. Chiudiamo in nove, perché Causio e Antognoni prendono il rosso . E coi lussemburghesi a un passo dall’1-2. I nostri emigrati sono imbufaliti, lanciano oggetti . Il vecio lascia lo stadio scortato e dall’uscita secondaria . Poi incrocia qualcuno lo stesso . E reagisce: “E chi ci metto al posto di Causio e Bettega? Fuori i nomi, subito” .  Mario Sconcerti di Repubblica titola: “Cosa cambiare in Azzurro? Causio, Bettega e Bearzot “. Poi ci mette il carico da undici: “La Nazionale trascina il suo rapido tramonto sui docili prati lussemburghesi . Bettega è un ex atleta di trent’anni, bravissimo ormai soltanto a simulare i movimenti di un centrocampista . E con un Bearzot così irriducibile nella sua smania da assurdo, è difficile cambiare. A meno che, come qualcuno sussurra, non sia lui il primo e il prossimo a essere sostituito. Con la sua solita fede incrollabile, da lui definita friulana non si sa quanto a vantaggio di quella terra, dice che problemi non ce ne sono. Per questa squadra, qualunque nazionale al mondo, fatta qualche timida eccezione per Malta, sarebbe un problema. Certamente quei giocatori, in età per continuare la strada in azzurro anche dopo un’epurazione, non amano più troppo seguire i dettami di quella ormai pesantissima cosca di anziani che sta influenzando da molto tempo Bearzot. Ora chi rischia di più è lui”.

Insieme a Cesare Maldini

Nel coro Carlo Grandini parte dalle note basse: “E’ giunto il momento in cui la Federazione Italiana Gioco Calcio ha il dovere di porsi seriamente una domanda: se sia il caso di continuare a lasciare la Nazionale nelle mani di Enzo Bearzot. La nostra impressione è che siano sprofondate nella follia e nella vergogna le ottuse teorie immobilistiche del commissario tecnico e che la squadra azzurra sia andata tecnicamente e moralmente a picco soprattutto per le gravi responsabilità di chi ancora la guida. Siamo davvero malmessi. E avanti così, di strada verso Madrid ’82, ne faremo poca . Si tratta di scegliere: o Bearzot o la qualificazione. Soprattutto se il non eccellente parco giocatori che passa il convento, rimarrà alla mercè dei campioni di masochismo che oggi ci ritroviamo ”. La sua colpa principale è la sostituzione di Altobelli con Bruno Conti, lasciando in campo Causio. E Grandini può sparare a palle incatenate: “La rissa finale ha messo a nudo tutte le tensioni e la fragilità nervosa di una squadra impaurita e allo sbando , lanciata allo sbaraglio da un allenatore che la sta demolendo e che non ha neppure il coraggio di ammetterlo. Quella di Bearzot è stata una sorta di pubblica provocazione, un atteggiamento che ha fatto pensare alla malafede o, preferiamo, a un corto circuito cerebrale. E un insulto al buon senso, all’evidenza e alla giustizia ”. Quasi quasi, meglio la giustizia sommaria. Come se si fosse perso o pareggiato. Si allineano Gianni Brera del Giornale, poi Carlo Marincovich e Giuseppe Smorto di Repubblica . Con Filippo Grassia all’ultimo momento. In difesa del vecio rimangono Pier Cesare Baretti, Alfio Caruso e, con perplessità, Gino Palumbo. Tra gli agnostici Beha , Damascelli e Tosatti.

1976, con Tardelli e Bettega

L’indomani sera la squadra sbarca a Malpensa . Ad aspettarla c’è anche Grandini. Il vecio improvvisa una conferenza stampa. Impermeabile e pipa: “Le persecuzioni nei confronti di certi calciatori non le accetto. Dare addosso a uno per partito preso è ingiusto , disonesto e poco realistico. Se potessi dare le pagelle, a Causio darei sette per il primo tempo e sei per il secondo. E se il mio lavoro non va bene, sono pronto ad andarmene”. Poi passa la dogana e trova una ventina di tifosi. Alcuni gli chiedono l’autografo , altri azzardano: “Non sarebbe ora di lasciare a casa Causio? E Bettega?”. Il vecio non lascia cadere la provocazione. Si volta: “Ma avete visto che figura hanno fatto i nuovi che mi avete fatto mettere?”. Poi sale sul pullman. Grandini riporta tutto e con il corredo dei testimoni. E su Raitre c’è ancora il Processo del lunedì .

Una volta Franchi gliel’aveva suggerito : “Lei è troppo sincero“. Ora il presidente federale è Sordillo: lo convoca e Il Giornale di Milano fa il colpaccio: “Bearzot aveva dato le dimissioni , ma Sordillo le ha respinte”. E’ lui il soggetto ideale per far dimenticare le scommesse, i club indebitati, il calo degli spettatori, la catastrofe nelle coppe europee. In fondo è più comodo colpire uno solo. E’ anche più italiano. Lui, tutto d’un pezzo, con quella bizzarra vocazione alla difesa del gruppo. A oltranza addirittura. Casa sua in via Washington a Milano viene bersagliata dalle telefonate dei giornalisti. Sua moglie risponde a tutti: “Mio marito non c’è”. Poi ricompare: “Sono amareggiato perché ho letto offese e insulti alla mia persona e pure invenzioni. Chi ha il coraggio di offendere per iscritto una persona onesta, non ha l’equilibrio necessario per esercitare il diritto di critica. E non ho mai detto quelle cose ai tifosi. Non l’ho mai nemmeno sognato. Voi dite che sono troppo nervoso, ma non mi conoscete bene . Perché quando sono nel mio habitat, che è la nazionale, sono un uomo tranquillissimo. Purtroppo a volte ho reazioni istintive che durano comunque quanto un fiammifero.  Voi mi accusate di essere un testardo, ma sono coerente e ho buon  senso”.

Alla partita con la Danimarca mancano meno di venti giorni. Causio e Antognoni sono out per squalifica, Beppe Baresi e Oriali infortunati, Cabrini in forse. Mercoledì quindici ottobre il vecio deve partire per Copenaghen. Non ha mai seguito un avversario una sola volta. E sempre dal vivo. Trova microfoni anche lì e se la ride: “Come vedete non sono tumefatto, sono molto sereno e non ho rassegnato le dimissioni  . Il mio incarico è sempre a disposizione. Le mie sono dimissioni costanti”. Rabbrividisce. Gli schiaffi del vento danese gli arrossano la faccia: “La partita si prepara innanzitutto studiando la squadra che ci si troverà di fronte, anche più profondamente di un tempo, perché tatticamente tutti si sono progrediti, proprio prendendo esempio da noi. Quindi caratteristiche , pregi, difetti. Si tratta di circoscrivere i punti forti dell’avversario e colpirlo in quelli deboli”. Torna in Italia con la febbre addosso. Lo attende il Corriere per un’intervista a tutto campo. C’è mezza squadra da ricostruire. Stavolta non basta nemmeno la soluzione interna. A quasi trent’anni viene arruolato Giampiero Marini. Si riaprono le ostilità: “La Nazionale è come una bella donna: puoi amarla oppure trovarla antipatica, ma il volto almeno te lo devi ricordare . Dite che è la prima volta che un esordiente parte titolare? Dovete capire che quando convoco un ragazzino, cerco di tutelarlo. Per non bruciarlo . E Marini ha una certa età. Meglio ricorrere alla maturità dell’uomo che all’esperienza internazionale. E poi, tutti quelli che sono arrivati sono ragazzi conosciuti, come dire, figli miei”.

La stampa non fu mai troppo tenera

A Grandini e Sconcerti dà intanto il cambio Silvio Garioni: “In caso di sconfitta, Bearzot potrebbe ripetere il bel gesto (le dimissioni) già abbozzato dopo Lussemburgo”. E le statistiche del suo giornale sono il viatico: Vittorio Pozzo si dimise dopo una sconfitta con la Danimarca. “Al pubblico di Roma non si può chiedere niente e io non l’ho mai fatto. Ma una cosa spero: che all’inizio gli spettatori offrano un conforto alla squadra, che non la fischino”. All’hotel Villa Pamphili, la notte della vigilia è quella più lunga. Tardelli è ancora in giro, come sempre. Nemmeno il vecio si dà pace : “Quest’anno ci hanno urlato Venduti, venduti dopo il calcio scommesse, per il gusto di infierire su una Nazionale che non solo di quello scandalo non è colpevole, ma ne è anzi la prima vittima. Siamo la comoda valvola di sfogo ad altri peccati del calcio”. Prova a cambiare argomento , ma anche a casa sua è stato un inferno quell’anno: telefonate di insulti e minacce. Lui ha cambiato numero e dopo tre giorni, le chiamate sono riprese .

E poi il turno delle scritte: un giorno si era svegliato e aveva trovato A MORTE BEARZOFF sul marciapiede, con la vernice bianca : “Non mi preoccupo più di tanto. Gli imbecilli non mi hanno mai fatto paura. Gli amici mi consigliano di stare attento. Io vado in giro armato solo della mia pipa. Quelli del quartiere sono solidali. Nelle poche occasioni in cui si forma il capannello, sono io ad alzare la voce. E’ sempre successo così anche fuori dagli stadi. La folla è minacciosa se scappi. Se l’affronti e le parli, ti sta ad ascoltare. E finisce quasi sempre per darti ragione”  .  Si è portato anche un libro di Orazio. Un’occhiata e non si dorme. Poi chiama Bruno Conti, tanto non riesce a dormire neanche lui : “Devi giocare come fai nella Roma”. Per la prima volta sarà titolare: “Non posso tener conto delle sole partite di campionato. In quel caso dovrei comporre una nazionale ogni lunedì . La Nazionale è per forza precaria . Sono poche le occasioni di stare insieme, di conoscersi meglio, in campo e fuori. Cambiando in continuazione non si fa che aggiungere altra precarietà . Può darsi che io sia superato, può darsi che avendo cominciato a giocare subito dopo la guerra, certi concetti di fondo, per me irrinunciabili, mi vengano da quel clima di solidarietà che si respirava allora . E mi è sempre rimasto dentro”. L’Italia d’altronde è il paese in cui prosperano le aziende familiari: “Un dipendente ha due possibilità: o aspetta che decidano gli altri o cerca un altro lavoro. E’ certo però che il più bel lavoro è avere una Nazionale come quella del mondiale d’Argentina. Come quella di adesso. Per me la squadra vera è quella in cui quando l’arbitro fischia l’inizio, tutti si sentono uguali e c’è sempre qualcuno capace di tirar fuori la riserva d’emergenza, un residuo d’energie pescato chissà dove per aiutare un compagno che sta tirando l’anima coi denti. Non è facile formare questo spirito di gruppo, ma quando c’è , nessuna impresa è vietata”.

Il portiere jugoslavo Pantelić in presa alta, sotto lo sguardo degli italiani Bettega e Collovati, durante la sfida di Torino del 15 novembre 1980

Sono le tredici del primo novembre : “Un’ora e mezza al fischio d’inizio. La fase più difficile, quella di massima solitudine , in cui la paura della recita ti si infila sotto la pelle. Forse risparmia in parte i coyotes come Conti e Tardelli, perché l’hanno già vissuta durante la notte, ma se guardi in faccia gli altri, vedi sguardi spettrali . Parlare non serve più . Sarebbe controproducente. Ma qualcosa bisogna inventarsi mentre lo stadio si avvicina. E io tengo sempre qualche cassetta di scorta. Di musica in genere, ma anche di vecchie radiocronache. Partite nostre, ovviamente quelle vinte. Sono uno stimolo e insieme un messaggio: ragazzi , di questi momenti ne abbiamo passati e come potete sentire, ne siamo già usciti”. Zoff, Gentile, Cabrini, Marini, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Altobelli, Graziani, Bettega. All’Olimpico sono cinquantamila. I ragazzi giocano per il vecio, questo è sicuro. Avvio con ottimo piglio. Conti si diletta con le sterzate. I danesi provano a raddoppiarlo e lui li manda a sbattere: tacco e palla sulla corsa di Gentile . Cross teso per la volèe di Graziani: 1-0, splendido.  Sono passati solo cinque minuti.

L’Italia di Bearzot che il 14 novembre 1981 pareggiò 1-1 a Torino con la Grecia

Marini è una diga , come giocasse in Nazionale da anni. Ancora Conti dal corner, portiere a spasso e Graziani nella sua specialità: 2-0. Il coro ammutolisce. Poi si ricompone, pronto a nuove battaglie. A otto minuti dalla fine, qualcuno dalla tribuna si fionda nel sottopassaggio: vuole parlare con Bearzot. Lo raggiunge : ”Lei è stato molto criticato in questo periodo , ma ha fatto bene a resistere. E non deve badarci perché lei è un uomo onesto e deve continuare nel suo lavoro. Vada dritto per la sua strada”. Il vecio non sa rispondere. E’ commosso . Quella persona si chiama Sandro Pertini. La Danimarca non ha mai tirato in porta. La gara è stata decisa da un sontuoso Claudio Gentile. Da Conti , un quasi esordiente . E da un fuori ruolo, Graziani. Forse è proprio vero che i veri innovatori sono i classici. “Ci pensavo tre volte prima di inserire nel gruppo un giocatore . Diventavano sei quando si trattava di escluderne uno che ne faceva parte. A Marini chiesi aiuto e lui rispose con una dedizione totale, di esperienza e sacrificio. Credendo alla lealtà del calciatore, promisi più di quanto sarebbe stato strettamente logico: se ci fossimo qualificati , avrei trovato il modo di farlo arrivare a venti presenze. Un bel traguardo in maglia azzurra, vale la medaglia d’oro del premio-Pozzo e una serie di riconoscimenti collegati, a cominciare dalla tessera vitalizia in tribuna d’onore. Andammo ai mondiali e io in seguito mantenni: alla parola data non sono mai venuto meno”.

Ernesto Consolo

Da Soccernews24.it e Troppo Azzurro

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