La Primavera della Fiorentina, allenatore Arrigo Sacchi
Feb 12, 2023

Un bambino gracile. A tredici anni pesa solo quarantanove chili. Anche se col pallone se la cava meglio degli altri. Non per niente gioca già nella Fiorentina : “Andavo agli allenamenti ma abitavo a Pistoia. Dovevo prendere prima il treno. Era il locale delle tredici e venticinque . Poi dovevo saltare sul pullman numero 17 delle quattordici e venticinque. L’allenamento era alle tre e arrivavo sempre all’ultimo momento. Al ritorno perdevo quasi sempre il treno. Così a casa mi rivedevano alle otto di sera. E al termine di giornate come queste, non potevo certo prendere peso”. Ecco perché Egisto Pandolfini, responsabile della Cantera viola, dirotta Stefano Carobbi in prestito alla Pistoiese. Vicino casa e niente più treno : “Lì presi otto chili e dodici centimetri. Veniva Riccomini della prima squadra a vedere noi degli allievi. Andarono in serie A con Lippi e Frustalupi. Ci giocavo qualche volta contro il giovedì. C’era anche l’usanza di dar la forma alle scarpe dei più grandi. Io dovetti farlo a Borgo. E il mitico presidente Melani non voleva farmi tornare alla Fiorentina”.

Carobbi (in primo piano) in azione alla Fiorentina nel 1986, inseguito dallo juventino Mauro

Pandolfini sa quanto vale il ragazzo e alla fine dell’anno se lo riprende. Con Sergio Cervato aveva tirato su Giovanni Galli, Baroni, Bruni, Sacchetti e tanti altri. Cinque tornei di Viareggio vinti in dieci anni. Stefano Carobbi è uno di quelli affidabile. Di quelli che si notano anche quando non ci sono. Da destro naturale, si adatta nella zona mancina della difesa fino a farla diventare il suo nido. Lo difende come pochi, con un’applicazione feroce. Su e giù. Tanto che da quella parte gli avversari troveranno sempre un’ impermeabile linea di confine. Ma la sua intelligenza tattica gli permette di giocare anche da propulsore in mezzo. De Sisti infatti lo fa esordire in A con la maglia numero 4 : “Deve averci messo una buona parola anche Daniel Passarella , che mi aveva visto giocare . E forse Antognoni” . L’azzardo riesce facile: rientra col sinistro ed espone il destro dal limite, leggera deviazione e gol alla Samp. Quell’anno Stefano si diverte un po’ anche con la Primavera. Almeno quanto quelli che vincono lo Scudetto: “Vincenzo Guerini mi ha fatto crescere trasmettendomi la grinta. Si giocava uomo contro uomo: il numero 5 va sul numero 9, il 3 sul 7 e il 2 sull’11”. L’anno dopo si punta a bissare il titolo senza trascurare il Viareggio e la crescita dei ragazzi. E Italo Allodi decide di pescare il nuovo tecnico dalla serie C: si chiama Arrigo Sacchi .

Carobbi con la maglia azzurra: ha giocato nell’Under 21 e nell’Olimpica

Dovrebbe masticare calcio Primavera questo Sacchi. Infatti ha già vinto lo Scudetto col Cesena: “Ma nei primi due mesi è un trauma. Fin dal ritiro di Reggello, si rivela difficile attuare la sua zona . Provavamo e riprovavamo, ma non si riusciva a mantenere le distanze strette tra le linee”. Il mister vuole le mani libere e la società lo accontenta. Gli lascia anche divulgare il dogma a tutte le squadre giovanili. C’è anche il professor Bruno De Michelis, lo psicologo che Sacchi porta con sè dai tempi del Cesena: “Gli allenamenti erano sempre diversi e massacranti. Se chiedevamo al mister di giocare una partitella senza vincoli tattici, ci rispondeva  Non siamo qui per divertirci  ”. Sezione a parte per i tiri liberi , quelli che poi tutti chiameranno “palle inattive”. Il programma prevede addirittura sei schemi per i corner e sette per le punizioni. Se è il caso, tre allenamenti al giorno : “Sveglia alle sei e palestra. Quindi colazione. E i due allenamenti canonici”. Anche d’inverno. E poi tutti davanti alla televisione: “Ci faceva vedere e rivedere il filmato di una partita: Italia – Svezia 0-3 , quella giocata a Napoli quell’anno. Ci ordinava : Stoppate il filmato quando volete. Nel fotogramma ritrovavi otto svedesi addirittura contro tre italiani. Oppure sette contro cinque o quattro. Era la compattezza di squadra che dovevamo acquisire. Interrompeva e spiegava : Questa Italia non poteva vincere”. Prima di mandarli a casa, il mister consegna ad ognuno un quaderno con i compiti . Anzi, gli schemi da ripassare. “Fatelo anche prima di andare a letto“.

Arrigo Sacchi allenatore della Primavera del Cesena.
Accosciato, si riconosce il portiere, futuro rossonero, Sebastiano Rossi (foto da magliarossonera.it)

“Fisicamente lavoravamo in maniera diversa. Più intensamente , ma distribuendo meglio le energie”. E’ difficile andare d’accordo col mister. Qualcuno va in confusione, qualcuno perde il filo. Qualcun altro lo scambia per un fanatico. Altri per un eretico. Alla domenica, Sacchi chiede al difensore Nardini se è in forma, se è pronto per giocare. Quando risponde sì, puntualmente non gioca. Obiettivo di queste presunte pratiche diaboliche è la ricerca del particolare, forse la perfezione. Due ragazzi si ribellano e vengono congedati. La squadra è composta dal portiere Marco Landucci, con Ferrari e il piccolo Mareggini di rincalzo. La coppia centrale difensiva è Balli – Cardelli . Terzino destro Sandro Vignini (che giocherà nella Lucchese di Orrico). A sinistra , quando non è in prima squadra, c’è Stefano Carobbi : “Ma mi dava anche il numero 4”. In quel caso come terzino sinistro viene schierato Del Monte. Ma della rosa fa anche parte Amedeo Carboni. In mezzo al campo c’è Riccardo Malusci , cromosomi viola (anche se si riveleranno più fortunati quelli del fratello Alberto). Un altro nell’orbita della prima squadra è Mario Bortolazzi , il metronomo. Che è lo specialista dei calci piazzati. Ma Sacchi impiega spesso Michele Pennelli. Il numero 7 tocca a Roberto Labardi, detto Labardino ( che ha sedici anni), l’11 a Rosati con Giovanni Ceccarini centravanti. Lo schema è il 4-4-2 , of course.  

Come se vedessero il calcio per la prima volta. E non solo quello. Qualcuno inizia a divertirsi anche in allenamento. A capire che il risultato della domenica è solo conseguenza del lavoro settimanale. E infatti c’è tanta gente a vedere quella Fiorentina. E poi le trasferte. “Non l’ho mai sentito dire: Attenti oggi giochiamo fuori casa, è un campo difficile . Noi giocavamo sempre allo stesso modo: per vincere. Gli altri dovevano adeguarsi a noi”. Giovedì 17 dicembre 1983: partitella tra la prima squadra e la Primavera. Dopo soli ventidue minuti, De Sisti sospende l’incontro con la scusa del campo pesante. In realtà i titolari, cioè Antognoni,Oriali, Pecci, Massaro e soci, non riescono neanche a uscire dalla metà campo: i ragazzi di Sacchi vanno a velocità doppia, spuntano dappertutto. Alla stregua di una muta di cani.   Passarella rincorre Sacchi per fargli i complimenti. Non si capisce più dove finiscano i giocatori e dove inizi il gioco. E viceversa, ovviamente: “Poi c’insegnava la postura del corpo rispetto alla palla e rispetto all’avversario. Mai visto niente di simile. Era un’enciclopedia , uno che osservava tanto. Un martello. Perché voleva arrivare a tutti i costi. Se ti prendeva sul pullman , ti parlava per due ore di tattica. Lo faceva anche la sera. La sua ossessione sembrava il metodo”.

Anche se Sacchi preferirebbe citare Cesare Pavese: “Non c’è arte senza ossessione”. Porta tutti a correre sul Monte Morello, a Sesto Fiorentino. E il martedì qualche volta fa venire Daniel Passarella per una lezione di zona sudamericana. Infatti a Cesena, Sacchi era stato soprannominato Menotti (nel senso dell’allenatore argentino, non del rivoluzionario Ciro).“Con lui si parlava quasi solo di calcio. Di aggressione e copertura degli spazi. Di scalate, sincronismi, movimenti senza palla, raddoppi e recuperi. E non voleva perdere tempo durante gli allenamenti”. Non voleva nemmeno fare la foto di gruppo. E’ pronto per allenare degli uomini , ma si trova ancora dei ragazzi : “A distanza di tempo abbiamo capito che quel modo di giocare ci permetteva di avere una collocazione in campo, correndo meno. E allora non ce ne rendevamo completamente conto. Ci faceva crescere come dei veri professionisti”. Al Torneo di Viareggio li sorteggiano contro l’Eintracht Francoforte : ”E dividevamo l’albergo proprio coi tedeschi. Prima della partita eravamo a colazione insieme”. Inevitabile guardare l’altro tavolo: “Noi mangiavamo la frutta, mentre i tedeschi passavano dal cappuccino alle patatine fritte. Pensavamo facessero il botto: finì 2-0 per loro”. Un giorno in albergo, Sacchi riceve una telefonata da Allodi, che è in missione all’estero per nuovi talenti: “Arrigo , il futuro del calcio è in Africa”. Sacchi resta perplesso : con la Fiorentina ha appena battuto 6-1 la nazionale Under ’21 dell’Algeria. Poi gli africani battono l’Eintracht e i viola passano con un pareggio. C’è il quarto di finale col Milan. Dalla prima squadra arriva anche Paolo Monelli . E’ giovedì primo marzo ‘84: pioggia battente, il  campo è una palude. Stefano Carobbi può ricorrere al campionario del calciatore moderno. Da calcio totale direbbe il mister: ”Non sentivo minimamente la stanchezza anche se si giocava quasi tutti i giorni. Vinciamo 2-0”. Gol suo al sessantottesimo. Perché “ quando faccio una cosa che mi piace, che amo, io non mi stanco ”. E prima che faccia buio, raddoppio di Ceccarini.

Arrigo Sacchi sulla copertina dell’ “Intrepido”, febbraio 1990 (foto da magliarossonera.it)

“Il passato conta poco. Anzi, non conta affatto. E la partita più difficile è sempre quella che devi giocare”. Ma la squadra di Sacchi si ferma davanti al Torino di Vatta. Nella finale terzo e quarto posto c’è la Roma. Per la cronaca con Di Livio, Desideri, Di Mauro, Baldieri e Gregori in porta : “Ho segnato ancora. Mi sono inserito su una palla filtrante” . Come miglior calciatore della Fiorentina, Stefano Carobbi vince il premio “Nino Augusto”, che è accompagnato da un assegnino : novecentomila lire. Si vince 3-2 con una sassata di Bortolazzi a sette minuti dalla fine. “Una volta andai con la prima squadra. Quando tornai in Primavera, c’era allenamento. Durante un’esercitazione, non ho svolto il mio compito come dovevo. Arrigo mi fece saltare la partita successiva e senza alcuna spiegazione. Tornai a casa a Pistoia . Poi decisi di passare dal convitto di via Pietro Carnesecchi dove Arrigo viveva: volevo parlare con lui”. Stefano non dimenticherà più quell’incontro. Sono fendenti dritti al cuore: “Mi parlò: erano cose pesanti. Le reputavo davvero cattive, gratuite. Mi fece anche piangere. Poi aggiunse : Queste lacrime ti aiuteranno . Ti allungheranno almeno di un paio d’anni la carriera “. “Noi ragazzi per lui non eravamo un mezzo per raggiungere il grande calcio. Noi stessi eravamo il fine. Mia mamma lo chiamò per invitarlo a cena. In fondo, Arrigo mi stava trasmettendo gli stessi valori dei miei genitori: il sacrificio, il lavoro che paga sempre. Molti ragazzi coi quali ho giocato si sono persi proprio perché non hanno avuto un punto di riferimento”. Per forgiare prima l’uomo poi il calciatore: “Mia mamma lo esortava a starmi dietro. E lo chiamò altre volte. Anche se io l’ho saputo tanti anni dopo. E per me, Arrigo si è rivelato un secondo babbo”.

A fine anno le due strade sfilano via in parallelo : “In carriera non ho potuto sempre rendere al massimo: a giugno 1986 mi dovettero operare al rene. Il professor Latella disse che avevo giocato con una costola rotta”.  Qualche giornalista zelante e poco informato scrive che Stefano Carobbi ha un brutto male : “E mio padre dovette far sparire gli articoli. Persi anche la finale dell’Europeo Under 21 con Vicini. Ma almeno non mancai al mio matrimonio. C’era il cinquanta per cento di probabilità di smettere col calcio. E al rientro mi sono accorto che ne risentivo. Avevo perso undici chili e Bersellini mi mandò in montagna un mese. Ho dovuto mandar giù tante bistecche e fare una preparazione differenziata”.

Daniel Passarella in maglia viola

Stadio San Siro. E’ domenica 20 settembre 1987, si gioca Milan – Fiorentina . La prima casalinga in campionato del Milan di Sacchi. Dall’altra parte c’è lui, uno dei suoi pupilli della Primavera viola. Come di consueto col numero 3: “Prima dell’inizio ci fermammo a parlare. Mi chiese “Come va Stefano ? E ricordammo quel discorso nel convitto : non abbassare la guardia mi era servito”. Poi si gioca. Il Milan attacca come quel pugile che sembra scatenato, ma colpisce sempre a vuoto. Stefano Carobbi sta al suo posto, sulla solita corsia. Riesce anche a ripartire. Come quando salta secco Filippo Galli e piomba in area. Prepara un pallone che Ramon Diaz deve solo calciare col suo piede preferito: mancato.

La formazione della Fiorentina al Torneo di Viareggio nel 1982

Al cinquantacinquesimo il signor Ruud Gullit batte un piazzato da meno di venti metri. E sgancia un vero e proprio missile : “In Olanda non battevo punizioni. Qui le ho imparate guardando Mario Bortolazzi”. Dall’altra parte vola Marco Landucci e manda in calcio d’angolo. Quella Primavera di Sacchi non era poi così male. Nell’ultima mezz’ora il Milan è sulle ginocchia . Baggio e Diaz lo fanno a brandelli. Sacchi alla fine ha la faccia di uno che è sul punto di piangere. Le labbra si muovono ancora per l’ultima difesa: “Ho visto sessanta minuti di grande calcio “. Stefano corre felice sotto la curva. Non fanno in tempo a salutarsi. E poi Arrigo deve andare a riguardare la partita. Dieci, cento , forse duecento fermo immagine. Vincerà lo scudetto.

Poi porterà Stefano al Milan. 

Ernesto Consolo

Da Soccernews24.it

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